Sono state presentate a Stoccolma, nel corso del Congresso annuale della Società europea di cardiologia (Esc). Molti i nuovi concetti classificativi, come spiega Antonio Raviele, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre.
Nel corso del recente Congresso della Società europea di cardiologia (Esc)conclusosi nelle scorse settimane a Stoccolma, sono state presentate le nuove linee guida Esc sulla fibrillazione atriale. Abbiamo chiesto ad Antonio Raviele, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre una sintesi dei contenuti principali. «Nella distinzione tra i vari tipi di Fa, si introduce quella persistente di lunga durata (almeno un anno), in cui si può decidere una strategia di controllo del ritmo, in particolare un tentativo di ablazione transcatetere» dice Raviele. «È una forma non equivalente alla permanente, o cronica, che ora identifica i casi in cui medico e paziente decidono di accettare la condizione della Fa e di non operare alcun tentativo di cardioversione. Restano invariati i tipi parossistico e persistente». Con la distinzione tra sintomatica e silente, invece, si evidenzia come, in molti pazienti, la Fa può non essere avvertita con disturbi soggettivi, mentre rimane considerevole l’esposizione ad alti rischi, primo tra tutti quello tromboembolico. «Quindi in determinate categorie di pazienti predisposti, come per esempio ipertesi, obesi, anziani, si raccomanda di effettuare un monitoraggio elettrocardiografico ambulatoriale, soprattutto dopo una cardioversione o un’ablazione, per cogliere eventuali episodi asintomatici dell’aritmia» prosegue ancora Raviele. Innovativa è la scala Ehra (European heart rhythm association) sull’entità dei sintomi: classe I (sintomi assenti), II (lievi), III (severi), IV (disabilitanti). «È importante per decidere la strategia – commenta Raviele. «Se i disturbi sono rilevanti, si punta al controllo del ritmo; se invece sono assenti o lievi, al controllo della frequenza». Anche la stratificazione del rischio tromboembolico è stata perfezionata. «Con il punteggio Chads2 finora usato spesso c’era un’ampia sezione di pazienti classificati con rischio intermedio, rendendo difficile stabilire se fosse opportuno somministrare un anticoagulante orale o l’acido acetilsalicilico. Con l’inserimento di tre nuovi parametri, ora si individuano più facilmente i pazienti ad alto rischio». Per il calcolo del rischio emorragico in caso di terapia anticoagulante da adottare, è stato introdotto il sistema Hasbled che, sulla base di sette fattori, prevede uno score da 0 a 9: se è > 3, il rischio è alto. Dal punto di vista farmacologico, poi, si registrano tre novità. In terapia antiaritmica, tra i farmaci per la profilassi delle recidive, è entrato il dronedarone, approvato da Fda, Ema e Aifa; efficace in soggetti con recidive e sicuro come il placebo, è in grado di ridurre ospedalizzazioni, mortalità cardiovascolare e il numero di ictus cerebrali in pazienti già in terapia anticoagulante orale. «È un’opzione di prima scelta in tutte le indicazioni cliniche tranne nello scompenso Nyha 3 o 4 o recente». In terapia antitrombotica va segnalato il dabigatran, inibitore diretto della trombina che, nello studio RE-LY, si è dimostrato, al dosaggio più basso, di pari sicurezza ma più efficace del warfarin e, al dosaggio più alto, di pari efficacia ma più sicuro del warfarin. Il farmaco è attualmente in corso di valutazione da Fda, Ema e Aifa. «Nell’ambito della cardioversione farmacologica – ricorda Raviele – accanto a flecainide, propefanone e amiodarone ora si aggiunge vernakalant, un’arma in più a disposizione, che ha ottenuto l’approvazione europea». Riguardo l’ablazione transcatetere, infine, si registra un nuovo orientamento. «In pazienti giovani, con tentativo fallito di trattamento mediante farmaci e senza cardiopatia, questa tecnica è ora considerata una possibilità di prima scelta con raccomandazione IIa» conclude Raviele.

Sono state presentate a Stoccolma, nel corso del Congresso annuale della Società europea di cardiologia (Esc). Molti i nuovi concetti classificativi, come spiega Antonio Raviele, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’Ospedale dell’Angelo di MestreNel corso del recente Congresso della Società europea di cardiologia (Esc)conclusosi nelle scorse settimane a Stoccolma, sono state presentate le nuove linee guida Esc sulla fibrillazione atriale. Abbiamo chiesto ad Antonio Raviele, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre una sintesi dei contenuti principali. «Nella distinzione tra i vari tipi di Fa, si introduce quella persistente di lunga durata (almeno un anno), in cui si può decidere una strategia di controllo del ritmo, in particolare un tentativo di ablazione transcatetere» dice Raviele. «È una forma non equivalente alla permanente, o cronica, che ora identifica i casi in cui medico e paziente decidono di accettare la condizione della Fa e di non operare alcun tentativo di cardioversione. Restano invariati i tipi parossistico e persistente». Con la distinzione tra sintomatica e silente, invece, si evidenzia come, in molti pazienti, la Fa può non essere avvertita con disturbi soggettivi, mentre rimane considerevole l’esposizione ad alti rischi, primo tra tutti quello tromboembolico. «Quindi in determinate categorie di pazienti predisposti, come per esempio ipertesi, obesi, anziani, si raccomanda di effettuare un monitoraggio elettrocardiografico ambulatoriale, soprattutto dopo una cardioversione o un’ablazione, per cogliere eventuali episodi asintomatici dell’aritmia» prosegue ancora Raviele. Innovativa è la scala Ehra (European heart rhythm association) sull’entità dei sintomi: classe I (sintomi assenti), II (lievi), III (severi), IV (disabilitanti). «È importante per decidere la strategia – commenta Raviele. «Se i disturbi sono rilevanti, si punta al controllo del ritmo; se invece sono assenti o lievi, al controllo della frequenza». Anche la stratificazione del rischio tromboembolico è stata perfezionata. «Con il punteggio Chads2 finora usato spesso c’era un’ampia sezione di pazienti classificati con rischio intermedio, rendendo difficile stabilire se fosse opportuno somministrare un anticoagulante orale o l’acido acetilsalicilico. Con l’inserimento di tre nuovi parametri, ora si individuano più facilmente i pazienti ad alto rischio». Per il calcolo del rischio emorragico in caso di terapia anticoagulante da adottare, è stato introdotto il sistema Hasbled che, sulla base di sette fattori, prevede uno score da 0 a 9: se è > 3, il rischio è alto. Dal punto di vista farmacologico, poi, si registrano tre novità. In terapia antiaritmica, tra i farmaci per la profilassi delle recidive, è entrato il dronedarone, approvato da Fda, Ema e Aifa; efficace in soggetti con recidive e sicuro come il placebo, è in grado di ridurre ospedalizzazioni, mortalità cardiovascolare e il numero di ictus cerebrali in pazienti già in terapia anticoagulante orale. «È un’opzione di prima scelta in tutte le indicazioni cliniche tranne nello scompenso Nyha 3 o 4 o recente». In terapia antitrombotica va segnalato il dabigatran, inibitore diretto della trombina che, nello studio RE-LY, si è dimostrato, al dosaggio più basso, di pari sicurezza ma più efficace del warfarin e, al dosaggio più alto, di pari efficacia ma più sicuro del warfarin. Il farmaco è attualmente in corso di valutazione da Fda, Ema e Aifa. «Nell’ambito della cardioversione farmacologica – ricorda Raviele – accanto a flecainide, propefanone e amiodarone ora si aggiunge vernakalant, un’arma in più a disposizione, che ha ottenuto l’approvazione europea». Riguardo l’ablazione transcatetere, infine, si registra un nuovo orientamento. «In pazienti giovani, con tentativo fallito di trattamento mediante farmaci e senza cardiopatia, questa tecnica è ora considerata una possibilità di prima scelta con raccomandazione IIa» conclude Raviele.

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