Nei pazienti colpiti da embolia polmonare acuta (Pe) si riscontra un’associazione lineare tra precocità di somministrazione della terapia anticoagulante e ridotta mortalità.
È la conclusione di una ricerca condotta alla Mayo clinic di Rochester (Stati uniti) sotto la supervisione di Timothy Morgenthaler. Sono stati studiati 400 pazienti consecutivi giunti in un periodo di tre anni nel dipartimento di emergenza (Ed) con Pe diagnosticata mediante angioTc e trattati in ospedale con eparina non frazionata per via endovenosa. I pazienti potevano ricevere l’eparina all’Ed o dopo l’ammissione nell’unità di cure intensive (Icu). Nel complesso, i tassi di mortalità intraospedaliera e a 30 giorni sono risultati pari a 3,0% e 7,7%, rispettivamente. I soggetti che avevano ricevuto l’eparina nell’Ed, però, presentavano valori di mortalità intraospedaliera e a 30 giorni inferiori rispetto ai pazienti ai quali l’anticoagulante veniva dato dopo il ricovero in Icu (1,4% vs 6,7% e 4,4% vs 15,3%, nell’ordine). Inoltre, le persone che raggiungevano un tempo di tromboplastina parziale attivata terapeutico entro 24 ore aveva pure una diminuita mortalità intraospedaliera e a 30 giorni in confronto ai pazienti che conseguivano lo stesso parametro dopo 24 ore (1,5% vs 5,6% e 5,6% vs 14,8%, rispettivamente). In modelli di regressione logistica multipla, infine, la somministrazione di eparina nell’Ed diveniva fattore predittivo di ridotta mortalità mentre l’ammissione nell’Icu lo era di aumentata mortalità.
Tags: Rianimazione
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