• La SICP vigila sull’applicazione della legge antidolore
  • La guardia medica di norma deve intervenire
  • Ictus: alteplase efficace anche tardivamente
  • Lo stetoscopio diventa hi-tech, a ultrasuoni somiglia ad un cellulare
  • Catania, nasce giornalino Dipartimento salute mentale
  • Ministero della Salute (Ordinanza 08 Ottobre 2009) – Modifiche all’Ordinanza 16 Giugno 2009 Recante : Iscrizione Temporanea di Alcune Composizioni Medicinali nella  Tabella  II  Sezione  D  Allegata al Testo   Unico   delle   Leggi   in   Materia di  Disciplina degli Stupefacenti e Sostanze Psicotrope e di PRevenzione, Cura e Riabilitazione dei  Relativi Stati di Tossicodipendenza. Gazzetta Ufficiale n.246 Del 22 Ottobre 2009.
  • National Institute for Health and Clinical  Excellence Guidelines (10/2009): Bacterial meningitis and meningococcal septicaemia
  • No al licenziamento del lavoratore allergico
  • Paracetamolo non di routine dopo il vaccino
  • Strumenti per la Gestione della Pandemia Influenzale nel Setting della Continuita’ Assistenziale
  • Richieste di risarcimento per 8 chirurghi su 10
  • Danni da somministrazione di farmaci
  • Dialisi causa di declino funzionale in anziani
  • Snami, ambito penale non c’entra con errore medico
  • Nuove evidenze sulla morte improvvisa
  • Più screening contro l’aneurisma aortico
  • Restenosi gestita con più stent
  • Stress premonitore di infarto ischemico
  • Spessore carotideo predice rischio cardiovascolare

La SICP vigila sull’applicazione della legge antidolore
La Società Italiana di Cure Palliative (SICP) vigilerà sull’applicazione della legge 1771, che disciplina l’accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore. La dichiarazione d’intenti è stata espressa nel corso della conferenza stampa di presentazione del 16° Congresso della Società Italiana Cure Palliative (SICP) che si terrà a Lecce, dal 27 al 30 ottobre. “Il testo della legge” – precisa Francesca Crippa Floriani, presidente della federazione Cure palliative Onlus – istituisce una rete omogenea su tutto il territorio nazionale, costituita dall’insieme delle strutture ospedaliere, territoriali, assistenziali in connessione e continuità tra loro. Disciplina la formazione dei medici e l’aggiornamento del personale specializzato. Semplifica l’accesso ai farmaci antidolorifici oppiacei, per i quali non ci sarà più bisogno della prescrizione con ricettario ministeriale. Prevede il finanziamento di 150 milioni di euro vincolandolo ad hoc”. La SICP ha espresso soddisfazione per l’approvazione e i contenuti del provvedimento e si augura a breve l’approvazione al Senato: “La legge 1771 nasce dal lavoro di medici, infermieri, psicologi e società civile organizzata nelle associazioni – ha dichiarato Giovanni Zaninetta, presidente nazionale SICP – e i principi stabiliti dovranno essere applicati a livello nazionale in relazione all’autonomia delle Regioni. La società civile e le società scientifiche vigileranno affinché siano applicati al meglio in tutte le Regioni”. (S.Z.).

La guardia medica di norma deve intervenire
Va certamente riconosciuto al medico di guardia il compito di valutare la necessità della visita richiestagli, con apprezzamento tecnico della sintomatologia riferitagli. Tale valutazione deve essere eseguita con particolare prudenza, attesa la previsione secondo cui,  condotta “normale” è l’effettuazione degli interventi richiesti. Nel caso di specie, la Corte distrettuale accoglieva la versione accusatoria che censurava anche la mancata sollecitazione da parte dell’imputata a che i congiunti della paziente chiamassero il 118, relegando la ragione del rifiuto della visita alla ritenuta generica inattendibilità e non concludenza dei sintomi riferiti. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net).

Ictus: alteplase efficace anche tardivamente
La somministrazione di alteplase risulta vantaggiosa fino a 4,5 ore dall’esordio di ictus in pazienti, con requisiti necessari, ma che non hanno ricevuto il farmaco nel periodo stabilito (0-3 ore). Ecass III (European Cooperative Acute Stroke Study III) questo l’acronimo del trial multicentrico, pubblicato su Lancet Neurology, in cui 820 pazienti con ictus ischemico acuto, sono stati randomizzati a ricevere alteplase (0,9 mg/kg peso corporeo) o placebo tra le 3 e le 4,5 ore dall’ictus. In sintesi, sia gli end-point di funzionalità a 90 e 30 giorni sia specifiche risposte al trattamento sono risultati positivi per interventi tardivi. In aggiunta, il farmaco è più efficace del placebo in diversi sottogruppi di pazienti, compresi quelli di età inferiore e superiore a 65 anni (odds ratio= 1,61 e 1,15, rispettivamente). L’efficacia è apparsa indipendente dalla severità della patologia ischemica (Nihss 0-9: 1,28; Nihss 10-19: 1; Nihss >/=20: 2,32). L’incidenza di emorragie intracraniche è indipendente dall’impiego precedente di anticoagulanti (nessun uso: 2,41; uso: 2,33) e dal tempo di inizio del trattamento (181-210 min: 1,62; 211-240 min: 1,97; 241-270 min: 3,15), ma non dal raggiungimento o meno dei 65 anni (età inferiore a 65 anni: 0,74; età superiore a 65 anni: 5,79). (L.A.). Lancet Neurology 2009

Lo stetoscopio diventa hi-tech, a ultrasuoni somiglia ad un cellulare
(Adnkronos Salute) – Addio al classico stetoscopio. Lo strumento usato dai medici per auscultare il paziente dal 1816 diventa hi-tech. Presto al collo del camice bianco non ci sarà più il classico ‘ornamento’ sostituito da una apparecchio ad ultrasuoni che somiglia ad un cellulare di nuova generazione. La novità è stata presentata dall’azienda americana General Electric ad una manifestazione sulle nuove tecnologie a San Francisco (Usa).Il dispositivo, battezzato Vscan, secondo gli ideatori rappresenta una piccola rivoluzione e faciliterà il lavoro dei medici, soprattutto in condizioni difficili. Il Vscan è composto da un sensore per effettuare rilievi e da uno schermo sul quale appaiono le immagini ad ultrasuoni. Sarà possibile vedere molto rapidamente le immagini di organi o di un feto, avrà quindi un uso più ampio rispetto al vecchio stetoscopio e permetterà di fare una diagnosi prima di inviare il paziente da uno specialista. Vscan, prima di arrivare sul mercato, dovrà essere testato da gruppi differenti di medici, che lavorano in condizioni diverse.

Catania, nasce giornalino Dipartimento salute mentale
(Adnkronos Salute) – Si chiama ‘Eureka’ ed è il nuovo giornalino redatto dagli utenti e volontari del centro diurno del Dipartimento salute mentale (Dsm) di Adrano-Bronte (Catania). Continuano infatti le iniziative del progetto ‘Accogliere per educare’, che grazie alla sinergia tra il Dsm dell’Asp Catania, diretto da Carmelo Florio, e i servizi sociali del comune di Adrano favorisce l’accoglienza verso la diversità e il disagio mentale, combattendo la tendenza al pregiudizio. Il giornalino sarà presentato domani.Il progetto, sostenuto dal direttore generale Asp, Catania Giuseppe Calaciura, coinvolge anche gli istituti scolastici superiori e le comunità terapeutiche del territorio, nella volontà comune di sensibilizzare l’inclusione dei disabili mentali: le collaborazione rende possibile una serie di iniziative che favoriscono l’accettazione delle differenze. Il gruppo Eureka è nato ad ottobre del 2008 dalla ricerca di un progetto riabilitativo ‘a misura di utente’, nel quale ognuno potesse esprimere liberamente i propri interessi, attitudini e desideri. “Obiettivo principale – conclude il direttore sanitario Domenico Barbagallo – è permettere ai ragazzi partecipanti di trascorrere le proprie giornate a contatto con gli altri, vivendo meglio e creando così una rete sociale da consolidare nel tempo”.

No al licenziamento del lavoratore allergico
L’esercizio dell’iniziativa economica privata, costituzionalmente garantito, non è sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall’autorità giurisdizionale, ma deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro ed alla salute, con la conseguenza che non viola la Carta Costituzionale, il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell’organigramma aziendale. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net).

Paracetamolo non di routine dopo il vaccino
Uno studio su bambini europei ha valutato quali potessero essere gli effetti di una somministrazione profilattica  di paracetamolo dopo una vaccinazione sia sulla febbre sia sulla risposta al vaccino. Il campione reclutato in 10 centri della Repubblica Ceca, fino a includere 459 bambini tra tre e cinque mesi, è stato esaminato in due successivi studi, randomizzati, controllati in aperto: dopo il primo vaccino e quando si ripresentavano per il richiamo all’età di 12-15 mesi. I bambini sono stati randomizzati a ricevere nelle prime 24 ore dopo la vaccinazione, o nulla o una profilassi di tre dosi di paracetamolo ogni 6-8 ore. Che la temperatura superasse i 39,5°C era un evento poco comune in entrambi i gruppi, dopo la prima immunizzazione e dopo il richiamo. Mentre, invece, la quota di bambini con temperatura a 38° o più, era significativamente più bassa nel gruppo trattato con paracetamolo (42% dopo il primo vaccino e 36% dopo il richiamo) rispetto al gruppo in cui non era stata fatta profilassi (66% dopo il primo vaccino e 58% dopo il richiamo). Tuttavia il paracetamolo aveva un impatto significativo sulla risposta immunitaria, misurata come media geometrica della concentrazione di anticorpi, che era più bassa nel gruppo trattato già dopo la prima dose di alcuni dei vaccini inoculati, una differenza che persisteva anche dopo la dose di richiamo. La somministrazione di antipiretici dopo la vaccinazione, perciò, non può essere raccomandata di routine dal momento che la risposta anticorpale viene ridimensionata. (S.Z.). Lancet. 2009 Oct 17;374(9698):1339-50.

Richieste di risarcimento per 8 chirurghi su 10
‘Incubo tribunale’ per i 6 mila chirurghi italiani impegnati in sala operatoria ogni giorno, per un totale di 4,5 milioni di operazioni l’anno. Nel 2008 le richieste di risarcimento nel nostro Paese sono state 30 mila, e 12 mila i processi penali
“L’80% dei professionisti del bisturi nel corso della propria carriera incappa in almeno una richiesta di risarcimento. Accuse di malpractice – spiega Enrico De Antoni, presidente della Società italiana di chirurgia (Sic), presentando a Roma i temi del Congresso nazionale Sic al via il 25 ottobre a Rimini – che nell’80% dei casi si risolvono con un’assoluzione, dopo un iter processuale che dura anche 7-8 anni”. Così, proprio “il timore di possibili conseguenze penali ha creato in questi anni la premessa della medicina difensiva: l’80% dei chirurghi prescrive esami inutili, e il 20% evita di operare se l’intervento è troppo a rischio di contenzioso”. Con costi pesanti per la sanità. “Si calcola che gli esami e le visite inutili della medicina difensiva costino 2-3 miliardi l’anno”, aggiunge Rocco Bellantone, segretario generale Sic. Ad alimentare questo meccanismo perverso è, secondo il presidente del Congresso, Gianfranco Francioni, “una cattiva comunicazione tra il medico e i pazienti, specie nei casi più difficili e negli interventi più rischiosi”. Così è nata una sorta di “industria del risarcimento, che ad esempio a Roma vede pagine di pubblicità sui quotidiani locali per pubblicizzare il contenzioso medico legale”, aggiunge Bellantone. “Non chiediamo la depenalizzazione degli errori medici – precisa il segretario generale della Sic – ma una giurisprudenza che disciplini gli atti medici”. Occorre “costituire un sistema che faciliti la segnalazione degli errori – segnala De Antoni – e favorisca la possibilità di apprendere dai fallimenti. Ma anche norme specifiche per il settore medico-chirurgico, ancora oggi assenti. Basti pensare che il settore è regolato dal Codice Rocco del 1930, le proposte di legge sul rischio clinico e la responsabilità civile e penale sono invece ancora ferme”.

Danni da somministrazione di farmaci
Nel giudizio intentato da una paziente per ottenere il risarcimento del danno per lesione del labirinto posteriore che asseriva esserle stato causato dalla non diligente somministrazione di un farmaco notoriamente ototossico, a seguito di due sentenze sfavorevoli, la Corte di Cassazione, nel disporre un nuovo esame della vicenda, ha affermato il carattere determinate della distribuzione dell’onere della prova.  Se è vero che sul paziente danneggiato sussiste un minor peso probatorio, potendo limitarsi ad allegare l’inadempimento, è anche vero che sullo stesso grava la prova della sussistenza del nesso di causalità fra l’inadempimento del sanitario e il danno. La Suprema Corte, inoltre, nel cassare la sentenza d’Appello, ha attribuito rilievo alla circostanza dell’avvenuto interpello della paziente sulla assenza di sintomi collaterali, non essendovi la relativa annotazione in cartella clinica. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net).

Dialisi causa di declino funzionale in anziani
In pazienti anziani affetti da patologie renali croniche l’impiego di terapie dialitiche risulterebbe associato a un inesorabile declino funzionale. È quanto riportato da ricercatori americani sull’ultimo numero di New England Journal of Medicine. Gli autori hanno preso in esame circa 3.700 soggetti anziani con malattie renali croniche, residenti in case di cure, per i quali prima dell’inizio della dialisi la funzionalità generale era stata stabilita attraverso la valutazione dello score Mds-adl (Minimum data set-activities of daily living), indice della capacità a svolgere le mansioni quotidiane. Dopo 3 mesi dall’inizio del trattamento dialitico, è stato osservato un incremento da 12 a 16 nel valore di score Mds-adl. In aggiunta, dopo 1 anno, il 58% dei pazienti è deceduto e solo il 13% ha mantenuto capacità funzionali paragonabili a quelle registrate all’inizio della terapia. Secondo un modello random-effects, l’inizio della dialisi risulta associata a un aumento di 2,8 punti dello score Mds-adl. La riduzione della funzionalità generale è indipendente da età, sesso, razza e stato funzionale prima del trattamento (L.A.). New England Journal of Medicine 2009, 361, 1539-1547.

Snami, ambito penale non c’entra con errore medico
(Adnkronos Salute) – “L’ambito penale nulla ha a che vedere con l’errore medico”. Lo ribadisce Mauro Martini, presidente del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (Snami), che concorda con il presidente Cimo-Asmd, Riccardo Cassi, che ieri aveva lanciato un appello per una riforma del codice penale sul rischio medico. In questo campo, spiega Martini da tempo impegnato nella battaglia per una revisione del contenzioso medico legale, “il penale non è tra l’altro previsto in nessun ordinamento giudiziario occidentale salvo forse in Polonia. Quindi nei maggiori Paesi a democrazia compiuta il tutto si risolve in ambito civile, senza la spada di Damocle del codice penale. Anche i medici, purtroppo sbaglia: chi fa sbaglia e tutte, sottolineo tutte, le categorie professionali commettono errori. Giusto prevedere il risarcimento del danno alla fine dell’iter giudiziario, ma in ambito civile e quando è dimostrato con certezza l’errore”"Sappiamo inoltre che le statistiche sugli errori medici – puntualizza il presidente Snami – indicano che meno di un quarto delle cause si conclude con la condanna del medico, ma comportano un percorso lungo, estremamente gravoso per il professionista”. Nella medicina generale, conclude Martini, “come nell’ambito specialistico e ospedaliero vi sono molte situazioni che possono influenzare il buon esito della diagnosi e della terapia. Una maggiore serenità nel lavoro è foriera di migliori risultati. Speriamo che l’appello di Cimo di una riforma del codice penale sugli errori medici, al quale si associa anche quello di Snami, possa essere accolto dalle Istituzioni nell’interesse di una classe medica che è anche l’interesse del cittadino-paziente”.

Nuove evidenze sulla morte improvvisa
La presenza di specifiche varianti di un gene sarebbe associata a un incremento del rischio di episodi cardiaci fatali, in pazienti affetti da sindrome del QT lungo. L’evidenza arriva da uno studio dell’Istituto Auxologico di Milano
La presenza di specifiche varianti del gene Nos1ap sarebbe associata a un incremento del rischio di episodi cardiaci fatali in pazienti affetti da sindrome del QT lungo. L’evidenza arriva da uno studio condotto presso il laboratorio di Genetica cardiovascolare dell’Istituto Auxologico di Milano e pubblicato su Circulation. L’indagine finanziata da Telethon, dal Nih (National Institutes of Health) e dal ministero degli Esteri, è stata coordinata da Peter Schwartz, direttore della cattedra di Cardiologia dell’Università di Pavia e dell’Unità coronarica della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo, che da anni si occupa di questa patologia caratterizzata da frequenti aritmie cardiache, che possono provocare sincope e morte improvvisa, anche nei lattanti. In circa la metà dei casi clinici, i difetti sono a carico del gene Kcnq1 che controlla il flusso di potassio nei cardiociti e le alterazioni potenzialmente letali si manifestano, principalmente, quando i pazienti sono sottoposti a stress, fisico o emotivo.
Le analisi genetiche condotte dagli autori hanno riguardato 500 individui sudafricani, appartenenti a 25 famiglie discendenti da un unico progenitore olandese affetto dalla sindrome. In 205 individui è stata evidenziata non solo la presenza della stessa mutazione di Kcnq1, ritrovata nell’antenato, ma anche quella di due specifiche varianti del gene Nos1ap, che da sole determinano un lieve e ininfluente allungamento dell’intervallo QT, ma quando sono associate a difetti nel gene Kcnq1 fanno raddoppiare il rischio di sincope e morte improvvisa. “Questa scoperta ci permetterà di individuare i pazienti affetti da sindrome del QT lungo esposti a un rischio più elevato e di trattarli tempestivamente con terapie di prevenzione più aggressive” ha spiegato Schwartz. “È ragionevole pensare che il gene modificatore messo in luce nel nostro studio sia lo stesso che facilita la morte improvvisa in malattie cardiovascolari molto diffuse, quali l’infarto del miocardio e lo scompenso cardiaco”. Circulation 2009

Più screening contro l’aneurisma aortico
Per ridurre la mortalità legata ad aneurisma aortico addominale occorrono programmi di screening e una maggiore attenzione nei confronti di questa grave patologia. Questo il monito dei chirurghi vascolari italiani in occasione della presentazione dell’VIII edizione del Congresso nazionale Sicve (Società italiana di chirurgia vascolare ed endovascolare) tenutosi di recente a Milano. Gli esperti hanno ricordato che in caso di rottura di un aneurisma, l’80% dei pazienti muore prima di giungere in ospedale, dove la mortalità degli interventi eseguiti in emergenza è del 50%, mentre si riduce al 3% se il trattamento chirurgico viene programmato. “Il progetto di prevenzione per l’aneurisma aortico addominale, promosso dalla Sicve in collaborazione con i principali centri di chirurgia vascolare su tutto il territorio nazionale, da gennaio 2010, offrirà la possibilità alla popolazione italiana tra i 65 e gli 80 anni di effettuare visite specialistiche gratuite per individuare l’eventuale presenza di un aneurisma” ha annunciato Maurizio Puttini, presidente Sicve. “Ci aspettiamo anche di ottenere dati sull’incidenza di questa patologia nella popolazione a rischio e soprattutto di riconoscere precocemente la lesione, mettendo in atto le contromisure necessarie per ogni singolo paziente”.

Restenosi gestita con più stent
Nella gestione della restenosi in pazienti che hanno subito impianti di stent coronarici a eluizione di farmaci risulterebbe vantaggioso, soprattutto a breve termine, il ricorso a ulteriori Pci (intervento coronarico percutaneo). Fails (Failure in Left Main Study) questo l’acronimo del trial, realizzato da un gruppo di ricercatori italiani presso l’Università di Torino, che ha valutato incidenza e trattamento della restenosi, conseguente a interventi di angioplastica del tronco comune non protetto della coronaria sinistra. Nel 9,7% dei 718 pazienti reclutati nell’indagine è stata diagnosticata restenosi. Di questi l’84% sono stati sottoposti nuovamente a Pci; il 10% a Cabg (bypass aorto-coronarico) e il 5,7% a terapie farmacologiche. A breve termine è stato osservato soltanto un decesso ospedaliero nel gruppo Pci. Dopo 25 mesi di follow-up, l’incidenza totale di eventi avversi maggiori (Mace) è stata del 25,7%, quella di decessi del 5,7%, di infarto del miocardio del 2,9%, di rivascolarizzazione della lesione target del 21,4%. Il tasso di Mace, per trattamenti farmacologici, Pci e Cabg, è risultato pari a 50%; 25,4% e 14,3%, rispettivamente. Journal of American College of Cardiology 2009, 54, 1131-1136

Stress premonitore di infarto ischemico
Condizioni di stress psicologico potrebbero essere associate a episodi d’infarto ischemico. È quanto emerge da uno studio apparso su Bmc Medicine che ha coinvolto 600 pazienti colpiti da infarto ischemico, di età compresa tra 18 e 69 anni, e altrettanti controlli incrociati per sesso ed età. Attraverso specifici questionari distribuiti ai partecipanti, situazioni di stress sono risultate indipendentemente correlate all’infarto ischemico. L’associazione è stata evidenziata per eventi a carico di arterie di grosso calibro, di piccolo calibro, per stroke criptogenico ma non cardioembolico. “La correlazione in precedenza riportata tra stress e problemi coronarici sembrerebbe valere anche per l’infarto ischemico e dato particolarmente interessante è che essa risulterebbe variare a seconda del sottotipo di infarto” ha dichiarato Katarina Jood, neurologa presso il Sahlgrenska University Hospital. “La nostra indagine sottolinea la necessità di ulteriori studi prospettici, in cui far rientrare i diversi sottotipi di infarto, al fine di stabilire se lo stress possa effettivamente essere considerato un fattore di rischio di infarto ischemico”. Bmc Medicine 2009, doi:10.1186/1741-7015-7-53

Spessore carotideo predice rischio cardiovascolare
Lo spessore intima-media (Imt) della carotide rappresenta un fattore predittivo di morbidità e mortalità cardiovascolare in pazienti affetti da diabete di tipo 2. È quanto sottolineano ricercatori del Haseki Training and Research Hospital di Istanbul, in un recente studio retrospettivo che ha preso in esame 102 pazienti diabetici per un periodo di 10 anni. Specifici modelli di regressione hanno consentito di correlare spessore Imt carotideo, score di Framingham ed escrezione urinaria dell’albumina con morte cardiovascolare, infarto non fatale del miocardio, angina e ictus ischemico. Sia lo spessore Imt carotideo (1,09 ± 0,32 vs 0,89 ± 0,25) sia lo score di Framingham (24,33 ± 11,07 vs 16,54 ± 8,35) sono risultati significativamente più elevati nei pazienti in cui si sono verificati eventi cardiaci rispetto a quelli per cui non è stata riportata morbidità e mortalità cardiovascolare. “Per i pazienti diabetici, predizioni accurate del rischio cardiovascolare devono considerare valori di escrezione urinaria dell’albumina superiori a 30 mg/die, spessore Imt carotideo pari o superiori a 0,9 mm e score di Framingham pari o superiore a 20″ ha dichiarato Hayriye Esra Ataoglu, principale autore dello studio (L.A.). Journal of Diabetes 2009, 1, 188-193

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