- Ogni giorno denunciati trenta medici
- Le cure difensive: tutto pur di evitare cause
- Si spezza la colpa dell’equipe medica
- Pratica omeopatica e clinica in Unità di Terapia Intensiva
- Trattamento Sanitario Obbligatorio (fonte: Univadis)
- Inventore Ecmo salva-polmoni: corretto uso non si improvvisa
- Obbligo pagamento borse ai laureati in medicina
- Oligonucleotide ristabilisce distrofina nei Duchenne
- Emicrania: disponibili nuove linee guida Efns
- Circolare Dipartimento della Funzione Pubblica: risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
- Nuove linee guida: Extracorporeal albumin dialysis for acute-on-chronic liver failure
- Disponibilità e riposo compensativo
Ogni giorno denunciati trenta medici
Una proiezione dei dati della Lombardia dimostra come ogni giorno siano circa 30 i medici trascinati in tribunale per richieste di risarcimento danni. Lo scontro giudiziario tra pazienti e camici bianchi vede coinvolti soprattutto gli ortopedici. Ne parla il Corriere della Sera.
«Malati che contestano le diagnosi – scrive il Corriere della Sera – pazienti insoddisfatti dopo un intervento chirurgico, familiari arrabbiati per le cure rivelatesi inutili sui propri cari. Le Procure che indagano. La denuncia del medico è diventata un atto di routine, lo scontro giudiziario con i camici bianchi è all’ordine del giorno: undicimila le cause legali stimate solo nel 2008 in Italia. Un fenomeno dalle dimensioni inquietanti, che ha portato persino a stampare manuali dal titolo Il medico nel processo, istruzioni per l’uso (edito dall’associazione Medicina e Legalità, nata per la prevenzione degli errori in corsia)».
«Una domanda di risarcimento su 4 – informa il quotidiano – è avanzata per presunti sbagli in sala operatoria. Ma in cima alla lista delle contestazioni ci sono anche le diagnosi ritenute scorrette (il 19% del totale) e le terapie giudicate inappropriate (7,5%). I medici messi sotto accusa sono soprattutto gli ortopedici (il 16%), seguiti da quelli che lavorano in Pronto soccorso (12,5%), dai chirurghi (9,3%), dai ginecologi (8,7%) e dagli internisti (4,2%). Il resto delle denunce è presentato genericamente contro l’ospedale. Lo dicono le statistiche della Regione Lombardia relative al 2008, anno in cui è stato sborsato oltre un milione di euro per risarcimenti di pazienti (o dei loro familiari)».
«I cittadini si rivolgono alla Procura – spiega il procuratore aggiunto di Milano Nicola Cerrato, alla guida del pool dei reati professionali – perché vogliono la punizione penale del medico. Ma solo una richiesta di danni su 3 va a buon fine. Spesso la querela viene utilizzata come uno strumento di pressione, al limite dell’estorsione, per ottenere più velocemente un risarcimento».
Le cure difensive: tutto pur di evitare cause
Il 78% dei medici ammette di prescrivere esami inutili e farmaci solo per evitare denuncie dai propri pazienti. L’indagine è del Centro Studi Federico Stella dell’università Cattolica di Milano. Ne parla il Corriere della Sera.
«Prescrivono farmaci ed esami diagnostici quando non servono – scrive il Corriere – ricoverano in ospedale malati che possono curare in ambulatorio, non operano quelli a rischio troppo elevato: sono medici sulla difensiva, ossessionati dalle denunce, condizionati da colleghi che sono già finiti fra le maglie della giustizia, preoccupati anche dalla pubblicità negativa dei mass media. E quello che è successo a Messina, in questi giorni, non aiuta la categoria: venti avvisi di garanzia ai sanitari che hanno avuto in cura la donna morta per influenza A. Secondo il viceministro della salute Ferruccio Fazio la medicina difensiva pesa sul bilancio della sanità pubblica per 12-20 miliardi di euro all’anno».
«La pandemia sta provocando decine di vittime nel mondo – ha commentato Fernando Aiuti, immunologo, presidente della commissione per l’influenza del Comune di Roma – ma solo in Italia si indagano i medici. Da noi, almeno secondo gli ultimi dati di Eurobarometer, la percezione del problema errori medici fra i cittadini è maggiore che in altri Paesi: il 97% degli intervistati lo vive come molto importante rispetto a una media europea del 78%. Così, in Italia, le richieste di risarcimento dei pazienti a medici e strutture sanitarie sono aumentate del 65% e la medicina difensiva si sta facendo sempre più strada».
Si spezza la colpa dell’equipe medica
Secondo la Cassazione l’anestesista non può ritenersi responsabile di errori post-operatori. Ne parla Sanità del Sole 24 Ore.
«Per la Suprema Corte – spiega Sanità – la decisione di secondo grado (confermativa di quella del tribunale) aveva reso cattiva applicazione dei princìpi fondamentali che presiedono la responsabilità di équipe, quando l’addebito venga elevato nei confronti di un sanitario che, come l’anestesista, svolge un ruolo peculiare prima e durante lo svolgimento dell’intervento chirurgico, ma non è immediatamente coinvolto nel decorso post-operatorio se non ne è espressamente richiesto l’intervento o se tale intervento non è imposto da particolari condizioni del paziente».
«Ricordano i giudici di legittimità – continua Sanità – che, in materia di responsabilità colposa, vale il principio di affidamento, che è coerente applicazione del principio di personalità della responsabilità penale, in forza del quale ciascuno risponde delle conseguenze della propria condotta, commissiva od omissiva, e nell’ambito delle proprie conoscenze e specializzazioni, mentre non risponde, invece, dell’eventuale violazione delle regole cautelari da parte di terzi».
Pratica omeopatica e clinica in Unità di Terapia Intensiva
di Italo Grassi
Ancora poco si sa sull’utilizzo dell’omeopatia nei casi critici, situazione dove, invece, la scienza (grazie a ventilazione assistita, emodialisi, alimentazione parenterale, controllo cardiocircolatorio, monitoraggio metabolico, etc.) ha migliorato straordinariamente la vita dei malati, prolungando la sopravvivenza per periodi ed in condizioni assolutamente ignote ai tempi di Hahnemann. Purtroppo, a causa dello stato di alterata coscienza, sussiste l’impossibilità di comunicare con questi pazienti critici e l’anamnesi omeopatica classica non può identificare i sintomi particolari presenti nell’individuo ammalato. Questa situazione richiede un diverso approccio semeiotico. In uno studio condotto in Brasile è stato elaborato un protocollo di semeiotica omeopatica che coprisse tutti gli apparati e le regioni del corpo umano, per aiutare a scoprire le caratteristiche di segni e di sintomi presenti nei malati critici, i quali non erano capaci di descrivere la loro sofferenza a causa di intubazione, stato incosciente, cachessia, etc. Per fare ciò è stata preparata una gerarchizzazione di sintomi omeopatici in casi acuti e gravi basata sulla eziologia, sulla diagnosi clinica e anatomo-patologica, sui sintomi patognomonici della malattia acuta con modalizzazioni tipiche e sui sintomi locali, mentali e generali che sono emersi o hanno subito modificazioni durante la malattia acuta. Punti di riferimento sono stati l’ “Organon” di Samuel Hahnemann, “Filosofia Omeopatica” di James Tyler Kent e il “Trattato di medicina Omeopatica” di Eizayaga. Quindi è stato scelto un gruppo di malati critici, sofferenti di Systemic Inflammatory Response Syndrome (SIRS), accolti al Centro di rianimazione dell’ospedale Amico, Unidade Vila Mariana (Sao Paulo, Brasile), tra maggio e settembre 1999. I pazienti sono stati scelti tra quelli che, secondo la squadra medica del Centro di rianimazione, non stavano rispondendo in modo soddisfacente al trattamento convenzionale. Il trattamento omeopatico è stato iniziato dopo le normali correzioni e le misure di supporto (mantenimento degli organi vitali ammalati) e il trattamento del focus primario (terapia antibiotica, rimozione chirurgica ecc.). La terapia convenzionale non fu cambiata o sostituita da quella omeopatica. Vennero selezionati i sintomi secondo il modello della gerarchizzazione per i casi acuti, mentre la Materia Medica Clinica Omeopatica è stata utilizzata per confermare il rimedio omeopatico individualizzato per ogni caso. Le medicine sono state somministrate in diluizioni centesimali (CH), con una sequenza iniziale di 6CH, 30CH e 200CH. I risultati del trattamento omeopatico furono poi valutati usando parametri obiettivi quali la funzione degli organi vitali, il bisogno di ricorrere a nuove terapie, test patologici, etc. L’efficacia dei rimedi omeopatici e della loro corretta scelta sono stati dimostrati dal rapido ristabilimento della normale funzione degli organi vitali. La potenza 30 CH è stata la preferita e ha sembrato dare una risposta soddisfacente senza effetti collaterali. Spesso è stata osservata, dopo somministrazione di rimedio omeopatico, una normalizzazione del ritmo cardiaco, concomitante ad un aumento della diuresi e ad un ristabilimento della funzione renale, come provato dai parametri di laboratorio (urea e creatinina plasmatici), assieme ad un ristabilimento della respirazione con aumentata saturazione di ossigeno. L’assenza di un gruppo di controllo ha reso difficile la determinazione quantitativa dei risultati. La valutazione è stata basata sull’opinione dei medici che operarono nel Centro di rianimazione. Questa esperienza, tuttavia, ha stabilito che in pazienti con SIRS, il trattamento omeopatico può essere utilizzato per migliorare la loro prognosi stimolando la risposta vitale. Homeopathy, 2008, 97, (4), 206
Trattamento Sanitario Obbligatorio (fonte: Univadis)
Quando appare indifferibile la necessità di cure per malattia mentale e manca il consenso alle stesse da parte del paziente infermo di mente, si fa ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), istituito dalla legge Basaglia n. 180/1978 (in GU n. 133 del 16.5.1978) e integrato dalla legge n. 833/1978.
La legge n. 833/78 afferma che gli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del Sindaco nella sua qualità di ufficiale sanitario, su proposta motivata di un medico e sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche e convenzionate.
Spetta dunque al medico certificare la necessità di un TSO indirizzando una proposta motivata al Sindaco il quale emette un provvedimento che consente l’accompagnamento forzato dell’infermo nel luogo di cura, eventualmente con l’intervento delle forze dell’ordine e dell’assistente sociale. Nel caso in cui necessiti la degenza il provvedimento deve essere convalidato dal medico ospedaliero accettante la degenza.
Pertanto è utile, anche se non codificato, allertare preventivamente la struttura dove si intende ricoverare il paziente, per assicurarsi della recettività della struttura e della convalida del provvedimento.
Il medico di continuità assistenziale può dunque certificare la necessità di un TSO, a suo autonomo giudizio se lo ritiene indifferibile, e collaborare con i medici ospedalieri per il completamento della procedura.
Il TSO deve essere accompagnato da iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. Nel corso del TSO l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno.
In caso di minori in cui i rappresentanti legali si oppongono al TSO, la cui omissione può causare grave danno per la salute dell’infermo, il medico deve informare il Giudice Tutelare presso il Tribunale per i minorenni il quale, ai sensi degli artt. 330 e 333 Codice Civile, può sospendere temporaneamente la potestà sul paziente dei rappresentanti legali resistenti e ordinare l’esecuzione dei trattamenti sanitari necessari.
Secondo la sentenza n. 9261/1994 della Cassazione, quando il paziente non è in grado di intendere e di volere, è escluso che i familiari come tali abbiano un potere di decisione per lui senza che siano nominati amministratori di sostegno (legge n. 6/2004) o rappresentanti legali per inabilitazione o interdizione del paziente adulto (art. 414 e 415 CC), per cui spetterà al medico un giudizio sullo stato di necessità e sull’appropriatezza dell’intervento terapeutico indifferibile.
Va infatti rilevato che con la legge n. 180\1978 il criterio di intervento nei confronti del paziente con malattia mentale non è più il giudizio di futura pericolosità per sé o per gli altri, peraltro di attendibilità controversa, ma la necessità indifferibile di cure.
Chiunque può rivolgere al Sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento col quale è stato disposto o prolungato il TSO.
Sulla richiesta di revoca o di modifica il Sindaco decide entro 10 giorni.
Il provvedimento del Sindaco può essere impugnato con istanza di sospensione rivolta al Tribunale competente per territorio.
Inventore Ecmo salva-polmoni, corretto uso non si improvvisa
L’uso dell’Ecmo, la macchina ‘riposa-polmoni’ messa a punto al Policlinico di Milano alla fine degli anni ’70 e rivelatasi oggi un salvavita nei casi gravi di nuova influenza A, non si può improvvisare. Per impiegarla al meglio “non basta che la sappiano utilizzare una o due persone. Occorre che l’intero team del reparto in cui è attiva, medici e infermieri, conoscano bene non solo i suoi meccanismi, ma anche la ‘filosofia’ alla base del trattamento dell’insufficienza respiratoria”. Il monito arriva da Luciano Gattinoni, l’esperto che insieme al collega americano Theodor Kolobow validò l’apparecchiatura di assistenza extra-corporea per la ventilazione meccanica, come la chiamano i medici in gergo tecnico. All’indomani dell’annuncio del viceministro alla Salute Ferruccio Fazio, che ha chiesto alla presidenza del Consiglio un finanziamento specifico per “coprire il territorio italiano con almeno 10 centri per l’Ecmo”, di cui 5 già esistenti e altri 5 “attrezzabili a breve”, lo specialista ribadisce un concetto che aveva già sottolineato nelle scorse settimane: il problema “non è semplicemente possedere l’attrezzatura adeguata, acquisibile in pochi giorni, ma la competenza a usarla in modo utile e appropriato”. Che “si guadagna in anni di esperienza”, avverte Gattinoni, oggi direttore del Dipartimento di anestesia e rianimazione della Fondazione Irccs Policlinico del capoluogo lombardo. Il ‘papà’ dell’Ecmo calcola “due mesi di tempo” per distribuire lungo la Penisola una rete di assistenza ad hoc, prima del picco di infezioni da virus H1N1 atteso per dicembre. “Non è impossibile – spiega all’ADNKRONOS SALUTE – ma tutto dipende dal materiale di partenza, ossia dalle competenze iniziali dei centri individuati” dall’Unità di crisi antipandemica ministeriale. Per ora, tuttavia, la ‘mappa’ dei centri Ecmo appare decisamente sbilanciata verso il Nord dello Stivale: “I centri già attrezzati, dotati dell’esperienza necessaria per l’impiego di questa tecnica, sono il Policlinico e l’ospedale San Raffaele di Milano, la Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia e l’ospedale San Gerardo di Monza”, elenca l’esperto. Il quinto “potrebbe forse essere a Torino”. Un dato salta però all’occhio: “Quattro dei 5 centri già attrezzati si trovano certamente in Lombardia”, assicura Gattinoni. Grazie all’Ecmo, il paziente che non riesce a respirare in autonomia non viene solo ossigenato. Gli viene anche rimossa l’anidride carbonica ‘scoria’, così che i polmoni del malato siano sollevati da ogni incombenza e possano appunto riposare e recuperare le funzioni perdute. Dall’inizio degli anni ’80 la tecnica salva-polmoni made in Italy è stata applicata nella Terapia intensiva del Policlinico di Milano con successo, come testimoniano pubblicazioni su riviste come ‘Jama’ e ‘Lancet’. Negli anni, poi, anche altri ospedali nel nostro Paese e all’estero sono diventati centri di assistenza extra-corporea. Ma l’Irccs di via Sforza, a pochi passi dalla Madonnina, vanta nel campo un’esperienza trentennale. Tanto da avere attivato il centro di formazione avanzata Adveniam, rivolto al personale dei reparti di emergenza-urgenza.In questa fase, insomma, la parola d’ordine è “formazione”. Ma quali potrebbero essere i 5 nuovi centri Ecmo da affiancare ai 5 già operativi per fronteggiare i casi gravi di nuova influenza A? “Posso solo dire – risponde Gattinoni – che equipe specialistiche in grado di assistere al meglio i pazienti in grave stato di insufficienza respiratoria sono attive a Torino, Roma, Bari, probabilmente anche Firenze. Ma si tratta soltanto di mie ipotesi”, tiene a puntualizzare l’esperto. “Non so quali possano essere i centri attrezzabili a breve individuati dall’Unità anti-pandemia del ministero, ma conosco molti dei suoi componenti – dice – e sono certo che le valutazioni saranno fatte in base ai criteri più opportuni”.E una volta completata la ‘cartina geografica’ della rete Ecmo, la soluzione migliore per addestrare i nuovi team potrebbe essere, secondo Gattinon,i “incaricare della formazione una o due delle strutture più esperte, che potrebbero fare dei corsi alle altre anche attraverso simulazioni”. Oppure “si potrebbero gemellare i 4-5 centri già attrezzati con quelli da addestrare”, individuando cioè strutture ‘tutor’ che possano trasferire ai ‘neofiti’ il know-how acquisito negli anni. “Organizzandoci bene, possiamo farcela”, conclude l’esperto.
Due mln italiani malati di fibromialgia, 90% donne
Roma, 23 set. (Adnkronos Salute) – Affligge 2 milioni di italiani, ma colpisce per il 90% le donne. Il suo sintomo principale è il dolore. Si chiama fibromialgia, una delle malattie reumatiche più diffuse ma anche una delle più difficili da diagnosticare: gli esami tradizionali risultano sempre nella norma e non riescono a individuarla. Uno scenario che provoca nel 40% dei casi la perdita della gioia di vivere, che si trasforma in depressione. E’ il quadro tracciato dagli esperti oggi a Roma, alla conferenza ‘Fibromialgia, l’impatto sociale sulla vita delle donne’, organizzata da Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) in collaborazione con l’Associazione italiana sindrome fibromialgica.Una patologia talmente difficile da diagnosticare che, la maggior parte delle volte, il dolore viene classificato come immaginario ed esclusivamente legato alla sfera psichica. Ancora oggi si arriva a interpellare fino a 7-8 specialisti prima di avere una risposta. Vita dura, dunque, per chi ne soffre che, oltre a dover convivere con un dolore costante, invalidante per la qualità della vita, deve anche fare i conti con una diagnosi complicata e un lungo iter fatto di numerosi test, visite ed esami.”La fibromialgia – spiega in una nota Piercarlo Sarzi Puttini, direttore dell’Unità operativa complessa di reumatologia dell’ospedale Sacco di Milano – non è una sindrome depressiva o immaginaria come molti medici ancora credono, ma una malattia vera, che interessa i tessuti molli (e non le articolazioni) e si presenta con dolori muscolari, affaticamento cronico, ipersensibilità al dolore proveniente anche da stimoli cutanei innocui, mal di testa, disturbi del sonno. Questa alterazione periferica e centrale dei meccanismi del dolore fa sì che ogni stimolo, anche quello più naturale e fisiologico – dallo stare in piedi ai rapporti sessuali – risulti doloroso. E il dolore è cronico, tale da comprometterne la vita”.
Obbligo pagamento borse ai laureati in medicina
In tema di attribuzione di borse di studio post universitarie a favore di laureati in medicina ammessi alla frequenza di un corso di specializzazione, il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 3, pone a carico del Ministero del Tesoro, su proposta dei Ministri dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e della Sanità, l’assegnazione e la ripartizione dei fondi alle Università, alle quali compete, ai sensi del comma 2 della citata norma, la concreta erogazione delle somme in sei rate bimestrali posticipate. Ne consegue che sia i Ministeri che l’Università sono processualmente legittimati dal lato passivo in quanto tenuti, solidalmente, al pagamento del compenso agli specializzandi, assumendo la ripartizione degli adempimenti tra gli enti medesimi una rilevanza esclusivamente interna. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net)
Oligonucleotide ristabilisce distrofina nei Duchenne
La somministrazione intramuscolare di oligonucleotidi morfolinici si è dimostrata in grado di indurre la produzione locale di distrofina in pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne. A dimostrarlo è un trial “proof-of-concept”, condotto in singolo cieco e controllato con placebo, in cui dosi crescenti di speficici oligonucleotidi hanno ristabilito in maniera selettiva, a livello del muscolo trattato, l’espressione della proteina assente nei pazienti distrofici. Sette i pazienti trattati (due con 0,09 mg e cinque con 0,9 mg di oligonucleotide Avi-4658) in cui, contemporaneamente all’iniezione dell’oligonucleotide, nel muscolo controlaterale è stata praticata quella di una semplice soluzione salina. Tra la terza e la quarta settimana dal trattamento, non è stato rilevato alcun effetto collaterale (end-point primario) e la dose maggiore della sostanza ha indotto una significativa produzione di distrofina in tutti i muscoli trattati (end-point secondario). In particolare, analisi immunoistochimiche hanno mostrato un’espressione di distrofina pari al 26,4% di quella presente in muscoli sani e più intensa del 17% rispetto al muscolo controlaterale trattato con soluzione salina (placebo) (L.A.). The Lancet Neurology 2009, 8, 10, 918 – 928
Emicrania: disponibili nuove linee guida Efns
Come trattare il mal di testa? La risposta è contenuta nelle raccomandazioni della European Federation of Neurological Societes (Efns), pubblicate su European Journal of Neurology. Secondo le nuove linee guida, aggiornate sulla base delle evidenze cliniche presenti in letteratura alla fine del 2008, per il trattamento di forme acute di emicrania, si dovrebbe ricorrere all’impiego di antinfiammatori non steroidei orali e triptani, subito dopo quello di antiemetici, quali metoclopramide e domperidone. Per gli attacchi più severi, si consiglierebbe la somministrazione intravenosa di acido acetilsalicilico o quella sottocutanea di sumatriptano e per episodi, che tendono a durare più di 72 ore, il ricorso a corticosteroidi. Secondo gli esperti europei per la profilassi dell’emicrania, la prima scelta dovrebbe essere rivolta a betabloccanti (propranololo e metoprolo), flunarizina, acido valproico e topiramato, la seconda, invece, a farmaci antidepressivi triciclici, quali l’amitriptilina, oppure naproxene, petasite e bisopropolo. “Purtroppo le terapie anti-emicrania utilizzate in Europa sono sostanzialmente diverse da quelle adottate negli Usa” ha affermato Stephen D. Silberstein, direttore del Jefferson Headache Center, Thomas Jefferson University di Philadelphia. “La profilassi nei Paesi europei, per esempio, non prevede il ricorso ad antidepressivi, da noi largamente utilizzati. Ciò è sicuramente dovuto a una differente considerazione di questa condizione patologica”. (L.A.) European Journal of Neurology 2009, 16, 968-981
Circolare Dipartimento della Funzione Pubblica: risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
Con la circolare n. 4 del 16 settembre 2009, si comunicano le novità legislative relative alle mutate condizioni circa il recesso unilaterale previsto dalla Legge n. 102/2009.
La norma è immediatamente applicabile nei confronti del personale dirigenziale e non dirigenziale delle Pubbliche Amministrazioni.
Disponibilità e riposo compensativo
La previsione del contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza medica che attribuisce al dipendente il quale abbia prestato la pronta disponibilità in giorno festivo senza svolgere tuttavia attività lavorativa (c.d. reperibilità passiva), un riposo compensativo, gli ha sostanzialmente attribuito la facoltà di eseguire la propria ordinaria obbligazione lavorativa in modo da poter recuperare il mancato riposo festivo, previa apposita domanda all’amministrazione. È questo infatti il senso che deve ragionevolmente riconoscersi all’espressione “senza riduzione del debito orario lavorativo”, cui è subordinata la spettanza del riposo compensativo. In altri termini, ferma restando l’ordinaria prestazione oraria settimanale globalmente immutata, le ricordate disposizioni consentono al lavoratore che ha prestato il turno di pronta disponibilità la fruizione di un giorno di riposo con conseguente variazione in aumento della durata dell’attività lavorativa prestata o da prestare negli altri giorni. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net)
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