Se il medico nel corso di un intervento si trova a effettuare un’operazione necessaria e urgente, ma non concordata preventivamente con il paziente e, quindi, privo del consenso firmato, non commette reato di violenza privata. Con una pronuncia della Suprema Corte riunita a Sezioni unite penali, lo scorso 18 dicembre, si rimette in primo piano il tema dell’azione e dunque sulla responsabilità del medico. In un contesto di urgenza, se il trattamento sanitario è andato bene, e dunque il dottore ha agito al massimo della perizia, non risponde del reato di violenza privata o lesioni personali anche se non aveva avvisato il paziente dell’operazione e delle possibili conseguenze. A spiegare le novità in materia è un articolo di Sanità, il settimanale del Sole 24 Ore.

«Gli ermellini – scrive Sanità – erano stati chiamati a risolvere un quesito posto dalla quinta sezione penale che ancora una volta metteva sul piatto della bilancia due orientamenti contrapposti: prevale il dovere di cura o la libertà del paziente? In questo caso c’era l’accusa di aver commesso un reato di lesioni gravi e violenza privata per aver operato una donna ricoverata in un reparto di ginecologia per una semplice laparoscopia, che al risveglio si era ritrovata senza una tuba. Il medico aveva deciso di agire con urgenza in assenza del consenso per “il bene” della paziente poiché nell’effettuare la laparoscopia si era accorto che la tuba era gravemente infetta e avrebbe messo a rischio la salute della donna».
«La sentenza della Cassazione – continua Sanità – rimette al centro la legittimità e la libertà di azione del medico, a prescindere dal livello di informazione del paziente, assumendo come prioritaria la finalità della salvaguardia della salute. Nel dibattito etico, e non solo, che si è svolto in questi anni sul tema del consenso alle cure, una sentenza che dà priorità al diritto alla salute, mettendo in un certo senso su un piano secondario la libertà della persona potrebbe aprire nuovi spazi di riflessione».

Fonte: eDott.it

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