Ogni medico «deve fare tutto quello che è nella sua capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente». Il monito arriva dalla sentenza n. 13547/2012 depositata dalla quarta sezione penale della Cassazione. I liberi professionisti e gli specialisti che operano nel privato, se impossibilitati a intervenire, hanno comunque l’obbligo di visitare il paziente e informare adeguatamente i colleghi ospedalieri che dovranno prendere in carico il malato. 

Nel caso specifico sono coinvolti cinque sanitari calabresi colpevoli di non aver evitato il decesso di un 19enne di Lagonegro, avvenuto per grave shock settico e stasi ematica acuta, conseguenze di un ascesso non curato. Il ragazzo, affetto da due giorni da un ascesso dentario che non rispondeva agli antibiotici prescritti dal medico di famiglia, si era rivolto al pronto soccorso, ma il dottore in servizio lo aveva dimesso senza eseguire o far eseguire dal chirurgo di turno un’incisione. Il dentista, contattato di domenica, si era limitato a raccomandargli di tornare in ospedale. Al quarto giorno un altro sanitario del Ps lo aveva dimesso di nuovo senza intervenire. Nel pomeriggio uno specialista di una clinica odontostomatologica privata lo aveva rinviato in ospedale. Nella tarda mattinata del giorno dopo, finalmente, il medico che lo aveva visto 24 ore prima lo fa ricoverare, ma in serata la dottoressa di turno lo aveva dimesso ancora, senza praticare alcuna incisione.

Tutti condannati i medici coinvolti, in tutti i gradi di giudizio. Se i medici avessero bloccato l’ascesso, non si sarebbe trasformato in flemmone e non si sarebbe verificata la mediastinite che ha portato al decesso. Anche perché l’evoluzione della malattia della vittima non poteva «considerarsi un evento raro e non prevedibile».

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