Gli arresti domiciliari e i conseguenti titoloni dei giornali non giustificano il licenziamento del medico finito sotto inchiesta. Per la Cassazione, le Asl non possono dare il benservito a un dottore solo perché è stato sottoposto a indagine penale e perché la vicenda ha suscitato clamore. Lo riferisce la decisione n. 224407 del 2 ottobre, emessa dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione, al termine di un contenzioso durato quasi sette anni. A illustrare la sentenza della Corte è Sanità, il settimanale del Sole 24 Ore.

«La storia – spiega il settimanale – rimanda ai titoli dei giornali nazionali che, nel febbraio 2001, riportavano a tutta pagina: “Sanità, nove arresti per tangenti in Toscana”. Una vicenda di corruzione scoperta dalla procura di Firenze che, in un comunicato stampa, spiegava: “Dietro corresponsione di somme di denaro, di benefit personali, di favori elargiti ai medici, una società di forniture ospedaliere sarebbe stata favorita nell’aggiudicazione delle gare, anche attraverso la redazione di specifiche tecniche concordate preventivamente così da escludere automaticamente ogni altro concorrente”».

«Appresa la notizia – Sanità ripercorre così la vicenda – la Asl procedeva prima alla sospensione e poi al licenziamento in tronco di uno dei dirigenti medici coinvolti nell’inchiesta, considerata “la mancanza dell’imprescindibile rapporto di fiducia che deve legare un’azienda sanitaria a un professionista incaricato di funzioni particolarmente delicate”. Motivazione sufficiente per il giudice del lavoro di Firenze, ma ritenuta “priva di giusta causa” per la Corte d’appello, che ribaltava il verdetto di primo grado condannando la Asl a versare l’indennità di mancato preavviso, pari a 8 mensilità di retribuzione, e un ulteriore indennizzo pari a 17 stipendi».

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