L’assenza del prestatore di lavoro dal suo domicilio durante le fasce orarie di reperibilità non assume in sé e per sé rilevanza disciplinare, soprattutto qualora, come nella specie, tale assenza sia giustificata dalla natura della patologia (specificamente sindrome depressiva ansiosa), ovvero dalla necessità sopravvenuta di rivolgersi al sanitario di fiducia per l’insorgere improvviso di un evento morboso diverso da quello inizialmente diagnosticato. Nella medesima circostanza nemmeno assume rilievo nella specie, per assenza di intento elusivo, la mancata comparizione del lavoratore alla visita ambulatoriale prescritta dal medico fiscale, fermo restando in ogni caso l’evidente sproporzione tra gli addebiti mossi e l’adottata sanzione disciplinare espulsiva.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-10-2010, n. 21621
omissis
Svolgimento del processo
Con ricorso del 1 aprile 2005 C.L.A., dipendente della s.r.l. OSMAIRM dal 19.10.1998 al 20.8.2004, conveniva in giudizio detta società davanti al Tribunale di Tarante per ottenere la pronuncia di nullità ed inefficacia del licenziamento disciplinare inflittole, in quanto non sorretto da giusta causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 Stat.lav..
La società convenuta si costituiva in giudizio invocando il rigetto della domanda, la quale veniva accolta integralmente dal Tribunale adito, con sentenza n. 9931 del 2005.
Detta sentenza – avverso la quale proponeva appello la società convenuta – veniva confermata dalla Corte di appello di Lecce con sentenza del 1 giugno 2007.
Nel pervenire a questa conclusione, la Corte territoriale riteneva:
a) che l’assenza della C. dal domicilio dichiarato durante le fasce orare di reperibilità non assumeva in sè e per sè rilevanza disciplinare;
b) che tale assenza era giustificata sia dalla natura della patologia da cui l’appellata era affetta (sindrome depressiva ansiosa), sia dalla necessità sopravvenuta di rivolgersi al suo sanitario di fiducia, per l’insorgere improvviso – documentalmente provato – di un evento morboso diverso da quello prima diagnosticato;
c) che nessun rilievo disciplinare – per l’assenza di intento elusivo – poteva assumere il non essersi presentata alla visita ambulatoriale prescritta dal medico fiscale;
d) che la buona fede della lavoratrice si desume anche dalla certificazione prodotta in atti, dalla quale emerge che essa fu sottoposta a visita di controllo il (OMISSIS);
e) che comunque vi è una sproporzione tra addebiti e la sanzione espulsiva adottata.
Avverso tale sentenza la società datrice di lavoro propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica la C. con controricorso.
Motivi della decisione
Col primo motivo denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 638 del 1983, degli artt. 1175, 1375 e 2687 c.c.; omessa e/o insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia, carenza di indagine in merito alla intenzionalità della condotta della lavoratrice ed all’effettivo ricorrere dei dati fattuali posti a fondamento del provvedimento reso; violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 34 del c.c.n.l. di categoria all’epoca vigente – assume la società ricorrente che le decisioni dei giudici di merito sono censurabili almeno per quattro profili:
a) per non avere essi conferito alcuna valenza probatoria – ai fini della determinazione della oggettiva gravità della condotta della lavoratrice alla circostanza che la lavoratrice, già assente dal domicilio dichiarato durante le fasce di reperibilità in data 28.6.2004, non si era presentata al controllo ambulatoriale il successivo giorno 29.6.2004, come prescritto dal medico fiscale;
b) per avere attribuito i Giudici di appello carattere di esimente all’assenza della ricorrente nel domicilio dichiarato, stante la natura della patologia denunciata (sindrome ansioso depressiva), la quale, invece, non ammette deroghe all’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità;
c) per non aver la lavoratrice provato – come era suo onere ex art. 2687 c.c. – che la visita medica cui era sottoposta presso il suo sanitario di fiducia durante le fase di reperibilità, fosse indifferibile;
d) per avere, la Corte di appello ignorato l’ulteriore inadempienza, posta in essere dalla reclamante, in materia di visite fiscali, per aver violato l’art. 34, lett. b), terzo capoverso del ceni di categoria all’epoca vigente secondo il quale: “qualora il lavoratore debba assentarsi dal proprio domicilio per sottoporsi a visita specialistica o ambulatoriale ha comunque l’obbligo di avvertire l’amministrazione entro le 19 dello stesso giorno. (Su tale obbligo cfr. la dipendente non può limitarsi a produrre il certificato medico attestante l’effettuazione di una visita specialistica durante l’orario di reperibilità, ma deve dare dimostrazione della loro urgenza ed indifferibilità e cioè di una necessità di effettuarli solo durante le ore della possibile visita di controllo).
Si tratta, dunque, per la società ricorrente, di rispondere al quesito di diritto formulato con il ricorso principale, se debbono dirsi violati dai giudici di merito i principi generali di correttezza e buona fede, posti dall’art. 1375 c.c., la cui osservanza è indispensabile per assicurare la corretta esecuzione del rapporto stesso, e se deve accertarsi il presupposto della intenzionalità, decisivo ai fini di perseguire disciplinarmente la condotta della dipendente.
Col secondo motivo – denunciando la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 41 del CCNL, ed alla L. n. 638 del 1983, art. 8; insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia; incongruità ed illogicità delle conclusioni della Corte di appello per mancata ed erronea valutazione delle risultanze processuali soprattutto in ordine alla natura recidivante delle mancanze commesse e della maggiore perseguibilità di detta infrazione. Valutazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; omessa o erronea valutazione delle deduzioni avanzate dal convenuto Istituto su punti decisivi della controversia – rileva la ricorrente che:
a) i Giudici di merito non hanno conferito alcun rilievo al fatto che la lavoratrice | non si sia presentata alla visita di controllo nell’ambulatorio medico disposta dal medico fiscale. Sul punto non è necessario ricordare (cfr. la sentenza appellata) la “buona fede dell’appellata desumibile anche dal fatto che dalla certificazione prodotta dal suo difensore emerge che essa fu sottoposta alla visita di controllo in data 20.7.2004, e cioè ben 22 giorni dopo il verificarsi dell’assenza della lavoratrice dal domicilio dichiarato durante le fasce di reperibilità;
b) il Giudici di merito non hanno mai dato rilievo alla natura recidivante delle ripetute mancanze poste in essere dalla C., influendo essa certamente sulla determinazione della sanzione disciplinare adottata (cfr. Cass., 13536 del 2002; n. 7391 del 1999 ecc). Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.
Le motivate e argomentate valutazioni dei Giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, resistono decisamente alle critiche della ricorrente le quali, in buona sostanza, integrano una richiesta di diversa valutazione delle risultanze istruttorie e del materiale di causa del tutto inammissibile in questa sede di legittimità.
I Giudici di merito hanno, invero, approfondito tutti i comportamenti addebitati alla C., partendo dalle due contestazioni: la prima, del 5 luglio 2004 relativa alla sua assenza – alle ore 18,30 del 28 giugno 2004 – dal suo domicilio, in occasione del primo controllo medico fiscale, e la seconda, per essere stata vista, nei giorni 6 ed 8 luglio 2004, rimanere in spiaggia per qualche ora.
A differenza dei Giudici di merito, la società ricorrente ha trascurato la gravità dello stato patologico a carico della C. e le sue manifestazioni di tipo emorragico, tutte richiedenti specifici trattamenti terapeutici anche urgenti.
Questa Corte ha più volte statuito – in casi simili – che “per giustificare l’obbligo di reperibilità in determinati orari non è richiesta l’assoluta indifferibilità della prestazione sanitaria da effettuare, ma è sufficiente un serio e fondato motivo che giustifichi l’allontanamento dal proprio domicilio”.
Anche quanto alla seconda contestazione (l’essere stata vista recarsi al mare, a i trecento metri di distanza dal suo domicilio, e restare ivi per qualche ora della mattinata), la decisione adottata dai Giudici di merito appare del tutto ragionevole, una volta escluso, nel particolare caso, che la breve esposizione al sole da parte della lavoratrice potesse pregiudicare o ritardare la sua guarigione.
La sentenza impugnata ha altresì compiuto una attenta disamina della complessiva condotta della C., prima e dopo la malattia. Ciò ha consentito – da una parte – di evidenziare la sua totale incensuratezza, oltre all’assenza di precedenti addebiti a suo carico, nell’intero arco di 17 anni di carriera lavorativa alle dipendenze della società ricorrente, e dall’altra, il suo spirito collaborativo nel manifestare la sua disponibilità a sottoporsi ad una serie di visite fiscali anche a distanza di un giorno l’una dall’altra, il che depone chiaramente per la sua buona fede e l’assenza di intenti elusivi.
Ma anche a non voler trascurare qualche aspetto negativo della sua condotta, resta inconfutabile la sproporzione esistente tra la medesima condotta ed il licenziamento disciplinare il quale costituisce la estrema ratio (cfr. Cass., n. 21213 del 2005).
In conclusione, una volta escluso che possano ritenersi sussistenti le condizioni le condizioni individuate dalla giurisprudenza, al fine di considerare gravemente inadempiente la condotta complessiva del lavoratore che si allontani dal luogo in cui questi deve trascorrere il periodo di malattia, appare condivisibile il giudizio espresso dalla Corte di appello di Lecce, secondo cui la breve assenza della resistente non assume rilevanza in sè e per sè, in mancanza di altri elementi che ne evidenzino l’influenza negativa sia sullo stato di salute, che sull’assetto funzionale del rapporto di lavoro.
Sulla base di quanto precede, il ricorso non merita accoglimento e, dunque va respinto con onere a carico della società ricorrente, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Pone a carico della società ricorrente le spese del presente giudizio pari ad Euro 41,00 oltre ad Euro 2.500,00 per onorari, e spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2010.
Fonte: DirittoSanitario.net
Tags: Diritto
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