La Corte di cassazione ha confermato la responsabilità di due medici specialisti in ostetricia e ginecologia come affermata dal Tribunale di Cassino per l’omicidio colposo in danno di una paziente deceduta- secondo l’imputazione – per emorragia conseguente al parto avvenuto presso una casa di cura e dovuta ad una lacerazione dell’utero.
L’emorragia aveva condotto alla perdita, in tre ore, di almeno 2 litri di sangue, secondo i consulenti delle difese, ovvero di 3,7 litri, secondo il consulente delle parti civili. La colpa dei due medici, uno medico curante che aveva assistito la donna anche durante il parto, e l’altro, responsabile del reparto della clinica privata e medico di guardia – era contestata nell’avere trattenuto la donna in sala parto (dove era stata riportata circa un’ora dopo essere stata condotta presso la stanza assegnatale successivamente al parto, avvenuto intorno alle 13 e 10) per oltre due ore, ponendo in essere solo tentativi inadeguati di saturazione esterna ed omettendo di effettuare le indagini clinico strumentali idonee ad accertare l’entità e la localizzazione della lesione, nonché di praticare gli interventi necessari ed idonei a fermare l’emorragia in corso, comunque omettendo di disporre tempestivamente l’immediato e urgente ricovero in ambiente ospedaliero, così cagionandone la morte per grave shock ipovolemico.
In particolare la Suprema corte ha confermato il ragionamento seguito nei precedenti gradi di giudizio, secondo cui, considerata la dinamica dei fatti, i tre interventi alternativi (adozione dei presidi terapeutici o delle iniziative chirurgiche o trasferimento), se tempestivi e quindi concretizzatisi – come ritenuto doveroso – prima della situazione di non ritorno avrebbero in termini di altissima affidabilità scientifica salvato la vita alla paziente, rimuovendo la fonte emorragica e ripristinando valori ematici accettabili. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

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