Si contestava al primario e ad altro medico in servizio presso un reparto di gastroenterologia di avere per negligenza, imprudenza ed imperizia cagionato lesioni ad un paziente cui era stata diagnosticata una acalasia esofagea e sottoposto ad intervento di dilatazione pneumatica dell’esofago. Essendosi verificata la perforazione della parete esofagea, con conseguente penetrazione di aria e materiali biologici nel torace, si sosteneva che i sanitari pur avendo avuto percezione della complicanza intervenuta, omettevano di richiedere tempestivamente l’esecuzione di un esame con mezzo di contrasto idrosolubile che avrebbe fornito l’evidenza della lacerazione esofagea consentendo di apprezzarne l’entità in modo da poter intervenire precocemente con misure chirurgiche di tipo conservativo; disponevano viceversa il ricovero nel reparto di chirurgia soltanto in seguito, dove ad opera del personale medico, in presenza di un’irreversibile compromissione dell’esofago lesionato che evolveva verso un coinvolgimento degli organi toracici mettendo a repentaglio la vita stessa del paziente, si procedeva chirurgicamente all’isolamento dell’esofago, rendendosi altresì necessaria la successiva rimozione completa dell’organo con confezionamento di una plastica esofago-gastrica realizzata presso altra struttura ospedaliera. La Corte di cassazione penale, nel respingere i ricorsi proposti dai sanitari, ha confermato il ragionamento per cui si era ritenuto accertato il profilo di colpa consistente nell’aver omesso di compiere una specifica indagine radiografica (con una particolare sostanza di contrasto) diretta ad accertare l’entità della lacerazione, nonostante un esame radiografico, eseguito alcune ore dopo la dilatazione pneumatica, avesse rilevato appunto una avvenuta lacerazione dell’esofago; ciò non aveva permesso la predisposizione di una cura adeguata, sicché si era instaurata una grave situazione flogistica con infiammazione del mediastino e versamento pleurico. [Avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net]

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