Le fratture vertebrali osteoporotiche non trattate chirurgicamente aumentano il rischio di mortalità dopo i 65 anni. È questo il risultato di uno studio presentato da Steven M. Kurtz, uno degli autori, nella sessione di mercoledì dell’incontro annuale della Spine society of Europe, EuroSpine, che si chiude oggi a Vienna.

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione esaminando, tramite il database del sistema Medicare, i decessi avvenuti nei precedenti cinque anni, prendendo in esame circa 400 mila pazienti con più di 65 anni, con diagnosi di frattura vertebrale osteoporotica e senza importanti comorbidità. I pazienti sottoposti a intervento di chirurgia mininvasiva, vertebroplastica (Vp) e cifoplastica (Balloon kyphoplasty, Bkp) presentavano nei primi due anni un rischio relativo di mortalità (hazard ratio di 0,56) più basso rispetto ai pazienti non trattati. Inoltre, chi si era sottoposto a Bkp aveva un rischio di mortalità (Hr=0,87) più basso rispetto all’intervento di Vp. «La cifoplastica è un intervento mininvasivo, che prevede, prima dell’inserimento del cemento nella vertebra “collassata”, il suo risollevamento grazie all’introduzione di un palloncino che gonfiandosi ripristina l’altezza» ha spiegato Enrico Pola, ortopedico presso la divisione di Chirurgia vertebrale del Policlinico Gemelli di Roma. «La riduzione della mortalità è dovuta al miglioramento di alcuni parametri come il dolore e la deformità, che per esempio andrebbe a incidere sulla capacità toracica e quindi sulla respirazione» ha aggiunto. Il congresso è stato anche l’occasione di lancio a livello europeo di un nuovo device per la deposizione di cemento nella vertebra: un iniettore graduato e controllato da una sola mano dello specialista, collegato alla cannula di inserimento da un tubo sottile lungo circa un metro: «Questo sistema permette allo specialista di mantenere una maggiore distanza dal fascio di raggi x usati per la fluoroscopia durante la fase di riempimento del cemento» ha commentato Pola.

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