Ictus, una molecola dà più tempo per limitare i danni
Ridurre drasticamente le conseguenze di un ictus. E’ questa la speranza che evoca uno studio dell’Istituto Mario Negri, pubblicato di recente dalla rivista Annals of Neurology. Al centro della ricerca, una sostanza, chiamata inibitore del C1, che blocca un passaggio particolare della cascata di eventi che si verifica durante l’infiammazione. La sua efficacia, testata per ora solo su topi di laboratorio, è stata provata anche a distanza di 18 ore dall’evento cardiovascolare. Ne parla il settimanale Salute de Il Corriere della Sera.
«Anche nell’ictus – scrive Salute – come nelle malattie del cuore, l’infiammazione dei tessuti fa la sua parte di danno: curandola con un prodotto specifico, si potrebbero ridurre le conseguenze provocate dalla brusca interruzione nell’apporto di sangue. La molecola, creata in laboratorio sulla falsariga di una analoga che normalmente viene prodotta dall’organismo, è già utilizzata per curare i portatori di una malattia detta angioedema, dovuta proprio alla carenza congenita o acquisita di questo mediatore».
«I vantaggi – prosegue il pezzo – rispetto alle cure attuali potrebbero essere notevoli. Oggi solo il 7 per cento di coloro che vanno incontro a un grave fatto ischemico cerebrale riceve una cura efficace: l’unica terapia disponibile, infatti, punta a sciogliere il trombo che ha bloccato il flusso di sangue con un prodotto, l’attivatore tessutale del plasminogeno (tPA), che è gravato da pesanti effetti collaterali; inoltre, il trattamento è efficace solo se viene effettuato nelle primissime ore dall’esordio dei sintomi».
«Anche nei topi  – spiega Maria Grazia De Simoni, coordinatrice del gruppo di ricercatori – L’intervallo in cui questo medicinale funziona è molto breve. Invece, la sostanza oggetto del nostro studio, che agisce con un meccanismo del tutto diverso, si è dimostrata efficace anche 18 ore dopo. Abbiamo quindi ragione di sperare che un’analoga, se non proprio uguale, differenza tra i due tipi di cura si possa riscontrare anche nell’uomo».

Nuovi Lea: meno ospedale, più medico di famiglia
Governo e Regioni sono al rush finale sull’aggiornamento dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza. La partita si chiuderà solo al varo del Patto per la salute (su cui è ancora ampio il divario tra Governo e Regioni) ma già da oggi si profilano importanti cambiamenti. Meno ricoveri, più spazio a day-hospital e assistenza domiciliare. Ma a cambiare sarà soprattutto l’assistenza sul territorio, che punta a risparmiare 2 miliardi di euro anche ridisegnando il lavoro dei medici di famiglia. Tra le altre cose, infatti, i medici di base dovranno garantire prestazioni territoriali «non differibili» anche di sera, di notte e anche nei giorni festivi e prefestivi. Lo rivela Il Sole 24 Ore.
«La nuova versione dei Livelli di assistenza – scrive il quotidiano economico milanese – viaggia all’insegna dell’appropriatezza e (in qualche caso) dell’austerity, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni e risparmiare circa 2 miliardi su ricoveri e specialistica. Tra le scelte più significative, la crescita dei day hospital (con 107 prestazioni ora offerte in regime di ricovero ospedaliero), l’assistenza domiciliare, le cure ambulatoriali. In sintesi: meno ospedale, più territorio. Più cure a casa propria, dunque. Contando sul supporto di medici di famiglia e pediatri che dovranno garantire assistenza 24 ore su 24. Il tutto non senza sorprese, come la stretta sulle diagnosi pre-natali».
«L’assistenza – prosegue l’articolo – che il Servizio sanitario nazionale assicura ai cittadini in tutto il Paese sta per cambiare: più territorio, meno ospedale, analisi e visite specialistiche solo se davvero necessarie. E poi assistenza in gravidanza, in carcere, agli stranieri regolari e irregolari e ai cittadini italiani che hanno bisogno di cure all’estero, ma solo se in Italia non si posso ottenere in tempi ragionevoli. I nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) sono pronti (dopo le ultime limature della Salute e delle Regioni) a ridisegnare l’assistenza sanitaria. Le novità sono a tutto campo. A cominciare dall’assistenza sul territorio, che prevede un cambio di rotta nel lavoro di medici di famiglia e pediatri convenzionati: si dovranno occupare anche dell’educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari, e di una vera e propria attività di sostegno per la gestione della malattia, della disabilità e per prevenire complicazioni».
«I medici di base – conclude il Sole – dovranno anche attivare “percorsi assistenziali” con valutazioni delle singole situazioni, il consulto con lo specialista e l’assistenza continua anche al momento del ricovero, durante la degenza e alla dimissione dall’ospedale. E (sulla scia del modello di assistenza “h24″ presentato di recente dal ministero del Welfare, in cui l’assistenza primaria si organizza in forme associative tra più professionisti) dovranno assicurare le prestazioni territoriali “non differibili” anche di sera, di notte e anche nei giorni festivi e prefestivi».

Scoperte le proteine dell’ovulazione, chiave fertilità
Roma, 15 mag. (Adnkronos Salute) – Due proteine chiave per la fertilità femminile, preziose alleate della cicogna. Si tratta degli enzimi ERK1 ed ERK2: rivestono un ruolo essenziale affinché l’ovulazione abbia luogo. La ricerca, condotta dallo statunitense National Institutes of Health in squadra con altre istituzioni, è stata realizzata studiando topi di laboratorio. Pubblicata sulle pagine della rivista ‘Science’, sembra aprire nuove strade per la messa a punto di cure innovative per contrastare la sterilità nonché di anticoncenzionali nuovi di zecca. Ma anche per la comprensioni di alcuni problemi ‘rosa’ come l’ovaio policistico.L’ovulazione è la fase di rilascio di un ovulo maturo che ogni mese viene liberato alternativamente da una delle due ovaie, grazie a uno stimolo ormonale. Prima della rottura del follicolo e della liberazione dell’ovulo, le cellule che rivestono l’interno del follicolo cominciano ad aumentare di dimensioni, assumono un caratteristico aspetto rigonfio, e iniziano a produrre progesterone, sotto lo stimolo dell’ormone ipofisario luteinizzante, che favorisce la liberazione dell’ovulo dal legame con il follicolo. A metà del ciclo, verso il 14esimo giorno, l’ipofisi rilascia una maggiore quantità di ormone luteinizzante che provoca la liberazione dell’ovulo dal follicolo, dando luogo all’ovulazione. Ma se sono spenti o inattivati i geni che regolano gli enzimi ERK1 ed ERK2, il processo – stando ai risultati dello studio statunitense – si arresta sin dalla sorgente, ostacolando l’attività dell’ormone luteinizzante. E, di conseguenza, arrestando l’ovulazione.

Lo studio, la felicità si eredita dai genitori
Roma, 15 mag. (Adnkronos Salute) – La felicità è dietro l’angolo. Specie se mamma e papà affrontano la vita col sorriso. Un nuovo studio, pubblicato su ‘Bioscience Hypotheses’, suggerisce infatti che i sentimenti e gli umori che proviamo nel corso della vita possono influenzare i nostri figli, fin da prima della nascita. In particolare, secondo Alberto Halabe Bucay del Research Center Halabe and Darwich in Messico, un vasto gruppo di sostanze chimiche – generate nel cervello in seguito a differenti disposizioni d’animo – possono influire su ovuli e sperma, cellule all’origine della generazione successiva.Nel suo articolo, il ricercatore suggerisce che gli ormoni e le sostanze chimiche ‘figlie’ di felicità, depressione e altri stati mentali possono lasciare il segno sulle cellule germinali, dando luogo a modificazioni proprio nel momento del concepimento. Sostanze chimiche prodotte nel cervello come le endorfine, ma anche marijuana ed eroina, sono note per avere significativi effetti su spermatozoi e ovociti, alterando la struttura dei geni che sono attivi in queste cellule. “Naturalmente è noto che il comportamento dei genitori influenza i bambini, e che i geni che un bambino riceve da mamma e papà contribuiscono a formare il suo carattere”, ha spiegato Halabe Bucay. “Il mio studio – ha aggiunto – suggerisce una via attraverso la quale la psicologia dei genitori prima del concepimento può effettivamente incidere sui geni del bambino”. Si tratta di una “idea intrigante”, ha commentato William Bains, editore della rivista. “Abbiamo voluto pubblicarla – ha aggiunto – per vedere cosa ne pensano gli altri scienziati, e se altri ricercatori hanno dati che potrebbero sostenerla o smentirla”. Insomma, stimolare il dibattito sulle nuove idee.

Salari italiani tra i più bassi d’Europa. Guadagnano di più in Grecia e Spagna
Roma, 17 mag. (Ign) – Salari italiani tra i più bassi dei Paesi Ocse. E’ quanto è emerso dalla classifica stilata dall’organizzazione internazionale contenuta nel rapporto sulla tassazione dei salari del 2008, secondo la quale il Belpaese si colloca 23esimo su trenta per netto medio annuo. In Italia il dato è di 21.374 dollari (-17% rispetto alla media), ben più basso della prima in graduatoria, la Gran Bretagna, che a sua volta è seguita da Stati Uniti, Germania, Francia, Grecia e Spagna. Va peggio se i salari italiani vengono rapportati a quelli dell’Unione europea a 15 Paesi, dove la media è di 27.793 dollari, o a quello della Ue a 19, che ha una media di 24.552.

Increased Vascular Endothelial Growth Factor Expression In Patients With Bladder Pain Syndrome/Interstitial Cystitis

UroToday.com – Angiogenesis is thought to be important in many chronic inflammatory disorders, including diabetic retinopathy, atherosclerosis, and inflammatory bowel disease. It has also been suggested that the angiogenic components of these diseases contribute to and exacerbate disease conditions. Clicca qui per leggere l’articolo completo.

Troppo sole spinge al suicidio
Diffidate di coloro che danno la colpa ai lunghi e lugubri mesi invernali se sono di cattivo umore: una ricerca condotta da tre studiosi di tre Paesi diversi dimostra come non sia l’oscurità a deprimere le persone, ma l’eccessiva esposizione alla luce solare.
La svedese Karin Sparring Björkstén, il danese Peter Bjerregaard e il californiano Daniel Kripke hanno raccolto e confrontato i dati relativi ai crimini violenti avvenuti in Groenlandia dal 1968 al 2002: in quel periodo ci sono stati 1.351 suicidi e 308 omicidi.
I ricercatori hanno notato – non senza sorpresa – che, mentre gli omicidi sono distribuiti più o meno uniformemente in tutto l’anno, i suicidi mostrano un marcato picco a giugno e un drastico calo in inverno.
Inizialmente hanno ipotizzato che fosse il maggior consumo di bevande alcoliche a spiegare almeno in parte questa situazione, ma hanno scoperto che anche il consumo di birra resta sostanzialmente lo stesso per l’intero anno.
Andando più a fondo, i tre si sono accorti che i suicidi aumentano con il crescere della latitudine: in pratica il maggior numero di suicidi all’anno avviene in estate e nelle zone abitate più a nord, dove per sei mesi non fa mai buio.
L’unica caratteristica che aumenta di pari passo con il tasso dei suicidi – hanno dovuto registrare – è la quantità di luce solare: più dura il giorno, più le persone si uccidono.
Incuriositi dalla situazione, gli studiosi hanno confrontato i dati relativi ai suicidi con le stesse statistiche nell’emisfero australe: lì la situazione è speculare.
I suicidi avvengono quando da noi è pieno inverno, ossia quando nel sud del mondo la bella stagione è al proprio culmine (dicembre per il Cile, settembre/ottobre per il Sud Africa, Novembre per lo stato australiano del Queensland).
Ulteriori prove arriverebbero dalla raccolta di dati in Finlandia, Norvegia, Belgio, Francia, Italia, Giappone, Usa, Lituania e Svizzera: in tutti i casi il massimo dei suicidi si registra in primavera ed estate.
Il rapporto finale dello studio è ancora in fase di elaborazione e quando sarà terminato verrà pubblicato su Bms Psychiatry. Fonte: Zeus News.

Ipertensione costante predice eventi cardiovascolari
Nei pazienti con ipertensione resistente alla terapia, la mancanza di una tendenza alla diminuzione della pressione durante la notte comporta il raddoppiamento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari rispetto ad un profilo normale. Questo elemento era già stato segnalato come possibile fattore di rischio di eventi cardiovascolari , ma non era stato finora studiato nell’ipertensione resistente, definita come ipertensione incontrollata nonostante una terapia ottimale con almeno tre farmaci idonei. Da un punto di vista clinico, non è noto se in questi pazienti lo scopo primario della terapia sia il controllo della pressione ambulatoriale media o la normalizzazione delle tendenze pressorie notturne. L’impatto prognostico dei due elementi appare differente: i livelli pressori medi sembrano più importanti per quanto riguarda l’ictus, mentre le tendenze notturne lo sono per gli eventi cardiovascolari. Probabilmente l’inversione dei ritmi circadiani sfavorevoli aggiungerebbe benefici per il paziente, ma sono necessari studi interventistici appositi per confermare questa teoria. (Arch Intern Med 2009; 169: 874-80).

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