• Mal di schiena, il test per trovare la cura giusta in 15 minuti
  • Colpa medica, nesso causale sotto esame
  • Specializzazioni, sui compensi la parola al tribunale
  • Al Niguarda l’Epo salva dalla paralisi
  • Anestesia locale senza specialità
  • Cassazione: licenziato il primario per il suo caratteraccio
  • Esperimento Usa: ristimolare le fibre nervose

AGGIORNAMENTI – eDOTT
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Mal di schiena, il test per trovare la cura giusta in 15 minuti
Distinguere i diversi tipi di mal di schiena del paziente, prescrivere la terapia migliore, ma senza ricorrere a costose risonanze magnetiche. Un team americano, guidato da Joachim Scholz del Massachussets General Hospital di Boston, in collaborazione con l’Addenbroke’s Hospital di Cambridge, ha messo a punto un test non solo semplice, ma anche rapido, dura 10-15 minuti, che ogni medico può utilizzare, con risultati attendibi, come dimostra il loro lavoro pubblicato su Plos Medicine. Il test si chiama StEP, bastano alcune domande al paziente e qualche manovra con un ago o con un diapason da neurologo, per capire se il dolore è normale o se invece c’è anche una sofferenza dei nervi, tipo sciatica. Ne parla il Corriere della Sera.
«Quando il dolore è acuto e improvviso è facile capire – commenta Giorgio Cruccu dell’università La Sapienza di Roma – Le cose si complicano quando la lombalgia diventa cronica: in questi casi è indispensabile distinguere i vari sottotipi di dolore perché la terapia cambia».
«Si può dire – continua Cruccu che ha pubblicato sullo stesso numero della rivista un articolo di commento al lavoro americano – che su 100 pazienti con lombalgia, almeno un 40% ha una componente neuropatica. Quando è presente questa componente i farmaci antinfiammatori non steroidei, che sono efficaci nella semplice lombalgia, non bastano. Adesso si stanno sperimentando nuovi farmaci neurologici che potrebbero essere utili per controllare questo tipo di dolore».

Colpa medica, nesso causale sotto esame
Non bastano le “buone probabilità”, né le “ottime probabilità” di salvezza del paziente, a far ritenere dimostrato il nesso causale. La Cassazione ritorna sulla posizione di garanzia del medico e sul nesso di causalità. Un medico convenzionato in servizio di guardia medica fu condannato per il reato di omicidio colposo in relazione alla morte del paziente. Secondo il tribunale, il comportamento del sanitario era stato caratterizzato da imperizia e negligenza, nonché da violazione sia della legge regionale che del codice deontologico del 1998, avendo erroneamente valutato i sintomi relativi alla parte offesa, un’emorragia della vagina ed episodi di perdita di coscienza, e avendo omesso d’intervenire immediatamente comunque nel più breve tempo possibile, nonostante i sintomi riferitigli fossero tali da imporre un pronto intervento, che, se posto in essere, avrebbe evitato la morte della donna. Ne dà notizia il settimanale Sanità del Sole 24 Ore.
«Secondo i giudici – scrive il settimanale – il medico alla fine di questo iter telefonico aveva acquistato la piena consapevolezza della gravità della patologia da cui era affetta la donna, ben superiore a quella inizialmente codificata. Si era reso conto che avrebbe dovuto convincere la paziente a sottoporsi alle cure mediche, e aveva infine avuto la certezza che senza un suo intervento sul posto, e una sua specifica richiesta, i responsabili del 118 mai avrebbero inviato un’ambulanza presso l’indirizzo dove si trovava la donna».
«L’affermazione della colpa del medico è pienamente giustificata – spiega la Cassazione – poiché costituisce indirizzo consolidato quello secondo cui l’instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente è la fonte della posizione di garanzia che il primo assume nei confronti del secondo e da cui deriva l’obbligo di agire a tutela della salute e della vita: nella fattispecie vi fu certamente, quindi, da parte del medico, la violazione di una regola cautelare, in relazione alla posizione di garanzia da lui assunta nei confronti della parte offesa».

Specializzazioni, sui compensi la parola al tribunale
Compete al giudice ordinario pronunciarsi sull’eventuale diritto agli emolumenti per il periodo di formazione specialistica del medico laureato o, in alternativa, al risarcimento del danno dovuto alla tardiva applicazione di una direttiva europea non tempestivamente attuata dallo Stato italiano. Su questa base si fonda la sentenza del Tar Abruzzo, depositata il 6 marzo, che ha giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso di una dottoressa che aveva chiesto il riconoscimento del trattamento economico con adeguata borsa di studio per il periodo di formazione, quale medico, espletato mediante la partecipazione alla scuola di specializzazione in Chirurgia. Ne parla il settimanale Sanità del Sole 24 Ore.
«Il ricorso – spiega Sanità – trovava sostegno nella Direttive Cee 363/1975 e 72/1982, che, a fronte della partecipazione del medico specializzando alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, riconosce adeguata remunerazione».
«Lo Stato italiano avrebbe dovuto conformarsi alle direttive Cee entro il 1982 – continua il settimanale – ma è accaduto il contrario. Sulla questione, si è espressa anche la Corte di giustizia europea (sentenza 22 febbraio 1999). La retribuzione conseguente all’applicazione della direttiva 82/1976 risulta dovuta nei confronti di quanti fossero iscritti alle scuole di specializzazione anche nel periodo fra gli anni accademici 1983/97 e 1990/91: questo ricorso partiva da quest’ultimo anno accademico. Ora, deciderà il giudice ordinario».

Al Niguarda l’Epo salva dalla paralisi
Il doping dell’Epo contro le paralisi da incidente stradale. Conosciuta soprattutto per l’uso illegale che ne fanno gli sportivi (specialmente nel ciclismo) per migliorare le prestazioni fisiche, adesso l’Eritropoietina è destinata a dare nuove speranze di cura a chi deve fare i conti con una lesione del midollo spinale, solo in Italia sono 2.000 i casi ogni anno anno. Ne parla il Corriere della Sera.
«L’Epo – spiega il quoditiano – è al centro di uno studio sperimentale presentato condotto dall’ospedale Niguarda di Milano, con le principali unità spinali di tutt’Italia (Roma, Firenze, Torino, Verona, Perugia, Cagliari, Pietra Ligure e Sondalo). Già arruolati i primi undici pazienti».
«Per la prima volta l’Epo viene impiegata sugli uomini per limitare le paraplegie provocate dalle lesioni midollari – spiega Tiziana Redaelli, primario dell’unità spinale del Niguarda, 36 posti letto per 140 ricoveri all’anno – Finora le ricerche sono state condotte solo in laboratorio. Come cavie sono stati utilizzati soprattutto i ratti. Buoni i risultati ottenuti dal farmacologo dell’università degli studi di Milano, Alfredo Gorio».
«Per sperare in un successo della cura – conclude il Corriere della Sera – l’Epo deve essere iniettata entro otto ore dall’incidente stradale. L’obiettivo è bloccare le ischemie e le infiammazioni neuro-spinali provocate dal trauma. Danni che possono portare alla paraplegia o alla tetraplegia. Prima di essere avviata, la sperimentazione ha ottenuto il via libera dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e dei comitati etici degli ospedali interessati».

Anestesia locale senza specialità
Niente esercizio abusivo della professione. Il medico può effettuare a livello ambulatoriale interventi di chirurgia plastica in anestesia locale, pur senza possedere un’apposita specializzazione in anestesia e rianimazione. Vanno infatti distinte le operazioni in anestesia generale, che possono essere praticate solo in regime ospedaliero, da quelle a ridotta o bassa invasività eseguibili in anestesia locale negli studi o ambulatori privati. A stabilirlo è la sesta sezione penale della Cassazione. La notizia è pubblicata dall’inserto Norme e Tributi del Sole 24 Ore.
«La rapida evoluzione delle tecniche chirurgiche – ricorda la Cassazione – e anestesiologiche, registrata negli ultimi decenni, ha comportato lo spostamento di alcuni settori dell’operatività chirurgica al di fuori degli ospedali pubblici e consentito la distinzione tra quegli interventi che per la loro natura e complessità non possono non essere effettuati se non in regime ospedaliero, e interventi chirurgici o procedure diagnostiche a bassa complessità o invasività o seminvasive, praticabili, senza ricovero, in studi medici, ambulatori privati in anestesia locale o in sedo-analgesica».
«L’uso di sostanze anestetiche – si legge nella sentenza – per infiltrazioni locali e loco-regionali è tecnica consolidata e consentita a tutti i laureati in medicina e chirurgia, pur se non specialisti in anestesia e rianimazione, e a maggior ragione quindi a tutti gli specialisti in area chirurgica».

Cassazione: licenziato il primario per il suo caratteraccio
Vita dura per i doctor House nostrani. D’ora in poi, trattare male colleghi e dipendenti può costare la revoca dell’incarico. È successo a un primario anestesista trentino, burbero e collerico, che era stato sollevato dall’incarico dirigenziale di responsabile dell’unità operatoria e trasferito presso un altro reparto proprio per il suo caratteraccio. Nella sentenza 5025, i giudici della sezione Lavoro della corte di Cassazione hanno confermato la revoca della qualifica di responsabile del comparto operatorio al primario anestesista dell’ospedale di Cles. Spiega la sentenza della Cassazione il settimanale Sanità del Sole 24 Ore.
«”Ridotta capacità di correlarsi dialetticamente – scrive la Cassazione – con le altre strutture e servizi senza continue e polemiche contrapposizioni”. Il primario è ricorso in tribunale contro questa decisione. Ma al medico è arrivato solo un coro di “no”: i tre giudizi hanno bocciato il ricorso. Il primario “dimezzato” ha invocato a sua discolpa una serie di prove per aver subìto un vero e proprio mobbing da parte dei colleghi, ma le motivazioni non hanno convinto i supremi giudici che anzi hanno giudicato tali prove del tutto insufficienti».
«La scelta di confermare o meno un incarico dirigenziale – ricorda Sanità – rientra nella potestà di autorganizzazione dell’amministrazione, in questo caso, il pessimo carattere, ha influito pesantemente sulla valutazione delle capacità anche gestionali del dirigente. La Cassazione fa il punto sulle doti imprescindibili per ogni medico e sul diritto per le strutture sanitarie di poter revocare gli incarichi dirigenziali».

Esperimento Usa: ristimolare le fibre nervose
Fa discutere uno studio ambizioso, che punta a ridare facoltà motoria ai paralizzati post traumatici, e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Gli scienziati dell’università della California di San Diego hanno ottenuto la rigenerazione di uno speciale tipo di fibra nervosa, che viaggia dal cervello alla spina dorsale e rende possibile il movimento volontario. Questo risveglio è stato osservato su topi che avevano subìto un trauma cerebrale, simile a quello che può provocare un incidente stradale o una caduta. Si apre così una nuova strada per possibili trattamenti riabilitativi. Ne parla brevemente il Corriere della Sera.
«I risultati ottenuti – assicura il neuroscienziato Mark Tuszynski, che ha guidato il gruppo di lavoro – stabiliscono un metodo per rigenerare un sistema di fibre nervose chiamate assoni corticospinali motori. Essere in grado di rimetterli in sesto dopo un trauma sarà un passo essenziale per ridare a un paziente vittima di trauma alla spina dorsale l’abilità di muoversi volontariamente».

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