Una temibile complicanza di ogni intervento chirurgico è l’insorgenza di eventi cardiovascolari acuti, dall’Infarto Miocardico (IMA) peri-operatorio al decesso per cause cardiache; la pre-medicazione dei pazienti, in particolare quelli con cardiopatie, con  beta-bloccanti sembrerebbe ridurre significativamente questo rischio e prestigiose Società Scientifiche come l’American College of Cardiology e l’American Heart Association hanno elaborato della linee guida (Fleisher LA, et al. J Am Coll Cardiol 2007;50:1707-1732) raccomandandone l’impiego. Vari sono i presupposti fisiopatologici per l’uso dei beta-bloccanti, tra cui molto rilevante è l’aumento di catecolamine indotto dall’intervento chirurgico. Le catecolamine possono indurre un incremento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, la comparsa di aritmie, la rottura di placche vulnerabili, la formazione di trombi. Una metanalisi sull’argomento di pochi mesi fa (Bangalore S, et al. Lancet 2008;372:1962-1976) ha posto in dubbio l’efficacia di questa pratica. In 12.306 pazienti arruolati in 33 studi, se da una parte i beta-bloccanti riducevano l’incidenza di IMA non fatale e di ischemia coronarica, dall’altra non modificavano la mortalità totale né quella cardiovascolare né lo scompenso cardiaco, ma anzi provocavano una maggiore incidenza di stroke non fatale.

Questa metanalisi ha riacceso una vivace polemica che negli ultimi venti anni aveva visto posizioni assai discordanti sulla base di studi con risultati non univoci. In sintesi i punti più controversi sono 3:
1) il timing di inizio della terapia rispetto all’intervento chirurgico: si va da poche ore a 37 giorni
2) il tipo di farmaco ed il dosaggio da usare: i farmaci che danno maggiori garanzie di cardioprotezione sono quelli più spiccatamente cardioselettivi (Bisoprololo) rispetto a quelli parzialmente selettivi (Metoprololo, Atenololo); per quanto riguarda il dosaggio migliore, secondo un’altra metanalisi (Kaafarani H.M., et al. Arch Surg 2008;143:940-944) il farmaco dovrebbe essere titolato in modo da ridurre la frequenza cardiaca fino a 60 battiti/minuto senza provocare ipotensione
3) la tipologia dei pazienti: una recente review [Vineet Chopra V, et al. Am J Med 2009;122(3):222-229] pone l’accento sul profilo di rischio individuale: i pazienti a più alto rischio beneficiano maggiormente del pre-trattamento con beta-bloccanti, mentre per quelli a basso o medio rischio tale pratica potrebbe essere inutile o addirittura potenzialmente pericolosa; gli autori di questa review concludono il testo con un invito alla prudenza di Salernitana memoria: primum non nocere.

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