Le affermazioni dell’Amministrazione secondo cui il Servizio sanitario nazionale non sarebbe obbligato a prendere in carico un paziente che a priori rifiuti le cure necessarie a tenerlo in vita e secondo cui il personale medico non potrebbe dare corso alla volontà di rifiutare le cure, pena la violazione dei propri obblighi di servizio, non appaiono conformi ai principi che regolano la materia.

Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata. La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende quindi doverosa la sospensione si mezzi terapeutici il cui impiego non dia lacuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda con il metodo dei valori e la visione di vita dignitosa che è propria del soggetto. Qualora l’ammalato decida di rifiutare le cure (ove incapace, tramite rappresentante legale debitamente autorizzato dal Giudice Tutelare), tale ultima manifestazione di rifiuto farebbe immediatamente venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario (ovvero il consenso informato), costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l’obbligo giuridico (prima ancora che professionale o deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di messi terapeutici indesiderati. Come ha precisato la Suprema Corte, tale obbligo giuridico sussiste anche ovi si tratti di trattamento di sostegno vitale il cui rifiuto conduca alla morte, giacché tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia (per tale dovendo intendersi soltanto il comportamento eziologicamente inteso ad abbreviare la vita e che causa esso positivamente la morte) bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile exitus.

Sotto altro profilo, rifiutare il ricovero ospedaliero, dovuto in linea di principio da parte del SSN a chiunque sia affetto da patologie mediche, solo per il fatto che il malato abbia preannunciato la propria intenzione di avvalersi del diritto alla interruzione del trattamento, significa di fatto limitare indebitamente tale diritto. L’accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può infatti essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale. Né il rifiuto opposto dall’Amministrazione alla richiesta può giustificarsi in base a ragioni attinenti l’obiezione di coscienza. L’Amministrazione Sanitaria, in ossequio dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, dovrà indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, tali sa renderla “confacente” agli interventi e alle prestazioni strumentali all’esercizio della libertà costituzionale di rifiutare le cure, onde evitare alla ammalata (ovvero al tutore e curatore di lei) di indagare in prima persona quale struttura sanitaria sia meglio equipaggiata al riguardo. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net).

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